Jovan Divjak, il generale d'origine serba che difese Sarajevo dall'assedio ultranazionalista del 1992-1995, è stato arrestato ieri sera, poco dopo le 21,00, a Vienna. Il generale in pensione dell'esercito bosniaco, oggetto di un mandato di cattura internazionale emesso dalla Serbia, è stato arrestato in quanto considerato da Belgrado responsabile per i fatti della Dobrovoljačka ulica, strada di Sarajevo dove il 3 maggio 1992, nel corso di violenti scontri tra una colonna dell'esercito jugoslavo (Jna) che si stava ritirando e gruppi di cittadini e membri del nascente esercito bosniaco, si registrarono molte vittime. La giustizia serba ritiene Divjak e altre 17 persone responsabili di questi fatti. Uno di loro, l'ex presidente bosniaco Ejup Ganić, è stato arrestato a Londra il 1° marzo 2010 ma la giustizia britannica ha successivamente respinto la richista di estradizione di Belgrado poiché le accuse contro Ganić sono state ritenute dal giudice Timothy Workman “motivate politicamente”.
Al giornalista non resta che annotare i fatti e presentarli. Leggendo sul sito del sempre autorevole "Osservatorio sui Balcani" le reazioni dei lettori all'articolo di Andrea Rossini, collega equilibrato e competente, sorge una poco velata amarezza dettata dalla constatazione che oggi, quindici anni dopo la fine della guerra, sia gli italiani sia i bosniaci di tutte le appartenenze nazionali sia i serbi sembrano incapaci di osservare la tragedia bellica bosniaca e balcanica se non attraverso la lente deformante dell'ideologia preconcetta e del tifo da stadio. A chi fanno bene reazioni del genere? Solo ai nazionalisti delle tre componenti nazionali, una parte dei quali ha le mani sporche del sangue della guerra o deve solo ed esclusivamente alla guerra il suo potere di oggi. E parlo sia di musulmani che di serbi che di cattolici, perché l'osservatore deve far parlare i fatti, non le inclinazioni personali.
Si riuscirà un giorno a evitare il tifo da stadio rileggendo il conflitto balcanico e le sue cause (e le sue conseguenze?). Sta senz'altro ai politici, alla stampa e agli studiosi provare a orientare in modo critico il dibattito, senza scadere nel tifo da curva calcistica (molti criminali non sono stati reclutati proprio lì, prima e durante la guerra?). Il problema è che oggi, almeno in Italia, con i giornalisti e i politicanti che ci ritroviamo è veramente dura...
Il punto su Divjak non è tanto se sia innocente o colpevole, perché a stabilire questo devono concorrere il diritto e il buon senso, che dovrebbero andare di pari passo. Il punto sostanziale è: è competente la giustizia serba, sul caso, o lo è quella bosniaca?
Vienna si trova oggi a decidere questo e a stabilire, di conseguenza, le sorti di un uomo che per una cospicua minoranza della Bosnia è un traditore e per una ancor più cospicua maggioranza è un eroe. Alla fine sarà probabilmente la diplomazia a decidere, come è stata la diplomazia a oggi a ritardare di tredici anni la consegna di Karadzić e di tre lustri quella di Mladić alla giustizia internazionale. Restiamo spettatori interessati e appassionati alla finestra a vedere che cosa deciderà la giustizia viennese e quanto la Bosnia da un lato e la Serbia dall'altro si spenderanno a favore e contro l'uomo e la sua estradizione.
Il punto è, a questo punto: saremo tutti noi capaci di assistere al procedere - si spera - della giustizia, accettandone le talvolta contestabili decisioni, oppure tutto si ridurrà a uno sterile e sciatto tifo da stadio, come spesso accade quando si parla di questioni balcaniche? Io temo che finirà ancora una volta in questo secondo modo, ma senz'altro dipende da ciascuno di noi. Anche perché, indipendentemente da come politicamente la si pensi, altri dovrebbero essere i valori a prevalere in tempo di pace, al di sopra e al di là degli altisonanti toni propagandistici che tanto ricordano invece la guerra.
In bocca al lupo alla giustizia e buona fortuna agli innocenti e a chi è chiamato ad applicare la legge, dunque. Che sappia e possa farlo senza pressioni e senza passioni diverse da quelle che devono animare un giurista indipendente e solido. Sperando che in Austria ve ne siano. E così in Bosnia, in Serbia e in ogni altra parte del mondo.