mercoledì 25 aprile 2012

Dal nulla al libro/i costi fiscali di magazzino

Ventitreesima - se ho ben tenuto il conto - puntata della rubrica sull'editoria scritta per gli amici di Golem Informazione. La pubblico in ritardo, mentre scrivo la nuova puntata per venerdì 27.


La scorsa settimana abbiamo visto rapidamente a quali problematiche, in ordine di costi e di spazio, vada incontro l’editore dovendo allestire e gestire il suo magazzino.

Esiste un altro ordine di problemi, piuttosto odiosi, riguardo la gestione del magazzino, e rientrano nell’aspetto fiscale. Nessuno mette in previsione queste problematiche, quando avvia un’attività editoriale, ma quando le scopre non può fare a meno di lamentarsi contro la sorte meschina e bara e contro un sistema fiscale nazionale che strangola senza pietà chi paga le tasse.

Un libro rappresenta un potenziale ricavo nel momento in cui la casa editrice investe dei soldi per produrlo e distribuirlo. Proprio per questa ragione lo Stato passa una prima volta a incassare l’Iva, che l’editore paga sì agevolata, ma anticipata, direttamente in tipografia. A fine anno arriva poi, come per tutti, il resto della mazzata, ma non finisce qui.

All’inizio dell’anno solare e fiscale ogni libro rimasto in magazzino dall’anno precedente (sia nel magazzino della casa editrice che in quello del distributore che sugli scaffali delle librerie) continua a rappresentare per il Fisco un potenziale ricavo, anche se si tratta di un volume vecchio di dieci anni che ormai in libreria non mette quasi più piede e vende magari una copia l’anno. Poiché questi libri giacenti in magazzino rappresentano un valore e un potenziale guadagno, su ogni singolo volume va ripagata l’Iva, sebbene anno dopo anno il valore del libro si svaluti di un tot e quindi il peso dell’Iva si abbassi (ma aumenta il numero delle pubblicazioni, quindi l’impatto è fortissimo). A fine anno lo stesso volume, se rimasto invenduto, rappresenta un costo per la casa editrice perché il guadagno presunto o possibile non è stato realizzato. Rendiconto alla mano, quindi, all’inizio di ogni anno fiscale l’editore deve, in base alle copie che ha in giacenza, calcolare il potenziale guadagno e ripagare l’Iva, che in parte – forse – recupererà a fine anno fiscale, per ripetere ogni anno lo stesso tortuoso e assurdo procedimento. È uno stillicidio che non riguarda solo quanto sopra descritto ma anche i costi di gestione di questo meccanismo attraverso un commercialista che, come noto, non vive d’aria e d’amore e costa, costa caro. È, se vogliamo, il solito principio italico per il quale la piccola o media azienda deve pagare, a e caro prezzo, la colpa che ha d’esistere, nonostante produca ricchezza e posti di lavoro.

L’alternativa, allora, come dicevamo la scorsa settimana, consiste nell’aberrazione del progetto editoriale, ovvero nel macero. Distruggere i libri è l’unico modo per non continuare a pagarli, quindi per non continuare a pagare salatamene il sogno di vivere facendo (si spera buona) cultura. A rimetterci, alla fine, è sempre – in prima battuta – il libro e chi con amore lo produce. In seconda battuta – ma di questo ci si accorge sempre in ritardo – a rimetterci siamo semplicemente tutti.