Mia madre ha sempre avuto una passione smisurata per le ciliegie.
Nella vecchia casa, un tempo, avevamo un albero che, in più di trent’anni di
vita, aveva sviluppato un tronco grande e slanciato e dei rami robusti e
nervosi, aperti a guardare, dall’alto della fitta coltre estiva di foglie, i
quattro punti cardinali.
Ogni anno, tra fine giugno e fine luglio, mia madre giocava la sua
dura partita con l’albero di ciliegie. Dopo essersi tolta le scarpe, senza
neanche l’aiuto di una scala si arrampicava lungo il tronco e, una volta
arrivata alla base dei rami, scelto quello giusto cominciava la scalata alla
conquista dei grappoli più maturi. Nulla poteva farla retrocedere dalla sua
lotta personale per i preziosi frutti, neppure le formiche o il solleone.
Un giorno, l’ultimo che la vidi arrampicarsi sull’albero, mise un
piede in fallo e rischiò di farsi molto male. In attesa che i “volontari” la
traessero d’impaccio, rimase per una lunga manciata di secondi appesa per le
sole mani a un alto ramo, con le foglie immobili nella densa calura del primo
pomeriggio estivo. Una volta scesa, non fece una piega. Ci distribuì in premio
le ciliegie che aveva raccolto e riposto nelle capienti tasche del grembiule e
si disinfettò le abrasioni, togliendosi di dosso una a una le poche formiche
che l’avevano eletta a loro personale universo. L’anno dopo comprò una lunga
scala e cambiò le sue abitudini.(Incipit del terzo capitolo di EDEN. IL PARADISO PUO' UCCIDERE)