Si
chiamava Berina Hamidović e aveva tre mesi d’età. È morta
in un ospedale di Belgrado, presso il quale i genitori, disperati, erano
riusciti a farla ricoverare per cercare di farla operare e darle una chance di
vita.
Berina era cittadina bosniaca erzegovese. Era nata con una
malformazione alla trachea che i medici dell’ospedale di Sarajevo, presso il
quale era stata ricoverata a lungo, non erano riusciti a ridurre. Di qui l’invito
dei sanitari sarajevesi di portare all’estero la bimba, per cercare di
operarla. L’ospedale più vicino e meglio attrezzato per l’intervento risultava essere
una clinica di Belgrado. Ma Berina non poteva essere trasportata in Serbia
poiché priva di documenti di riconoscimento, come tutti i bambini bosniaci
erzegovesi nati dopo il 12 febbraio 2013. La ragione? I nazionalisti dei tre
gruppi dominanti – serbo-bosniaci, musulmani bosniaci e croato-bosniaci – non riescono
(o forse, meglio, non vogliono) mettersi d’accordo sulla nuova procedura per la
registrazione all’anagrafe dei neonati. Per un problema di confini tra i
distretti in cui è suddiviso il Paese, infatti, è bloccato il sistema di
assegnazione del numero di riconoscimento composto da tredici cifre che deve
essere attribuito a ogni neonato. E senza questo documento, i bambini nati dopo
il 12 febbraio 2013 – giorno in cui il precedente sistema di attribuzione delle
tredici cifre è stato abrogato – rimangono senza documenti, quindi non possono espatriare.
Il caso della piccola e povera Berina poteva essere l’occasione
per i politici bosniaci di dimostrare quel minimo d’intelligenza, di buon
senso, di umanità e di senso dello Stato che non hanno mai né avuto né dimostrato.
Ma hanno voluto perdere, ancora una volta, l’occasione e caricarsi sulla
coscienza la morte di una bambina.
Berina in effetti in ospedale a Belgrado c’è arrivata. Come
irregolare. I genitori, disperati, sono riusciti a farla espatriare e a farla
entrare in Serbia illegalmente. In Serbia però è esplosa la tragedia nella
tragedia: la clinica in cui Berina è stata ricoverata ha chiesto un milione di
euro alla famiglia Hamidović per sottoporla alle cure; i genitori non sono
stati naturalmente in grado di pagare e il sistema sanitario bosniaco s’è
rifiutato di coprire le spese. Anche perché la bambina era stata portata all’estero
illegalmente e priva di numero di riconoscimento. Il classico serpente che si
morde la cosa. Nel frattempo le condizioni di salute della piccola sono
peggiorate e non ce l’ha più fatta a lottare.
La morte di Berina ha portato alcune migliaia di persone a
protestare in strada a Sarajevo, sotto al nuovo edificio del Parlamento. L’hanno chiamata “la protesta dei passeggini”,
ma non è servita a cambiare le cose: i parlamentari bosniaci erzegovesi non
fanno passi avanti e la nuova legge è lungi dall’essere approvata. Come tutto
il resto. Anche perché i nazionalisti serbo-bosniaci di Milorad Dodik
pretendono, per sbloccare la situazione, un codice di riconoscimento per i
bambini neonati diverso da quello delle altre componenti nazionali. Per gli
ultranazionalisti la differenziazione coatta e cieca tra gruppi nazionali deve
cominciare dalla culla. L’obiettivo è sempre e solo quello: spaccare la Bosnia,
farla scomparire. Se poi a morire devono essere non una ma mille Berina, ai
politicanti locali la cosa non sembra interessare più di tanto. Forse è anche
scontato, in terra di genocidio.