martedì 18 giugno 2013

Premio Barbara Fabiani: il discorso del presidente della Giuria Carmine Russo in occasione della premiazione delle vincitrici della prima edizione

Il mio compito è quello di presentare il “Premio per la Storia sociale” intitolato a Barbara Fabiani. Ma in primo luogo voglio ringraziare la “Biblioteca di storia moderna e contemporanea” di Roma per l’ospitalità che ci offre e per la collaborazione nell’organizzazione di questa occasione.
Non è per me un ringraziamento formale; sono stato contento di poter venire oggi in questa sede, perché Barbara passava in questa Biblioteca molte ore e molte giornate per le sue ricerche storiche. A volte io l’aspettavo giù in strada e a volte in macchina, parcheggiato vicino alla Sinagoga, e quasi mai lei era puntuale, perché il suo rigore e la sua curiosità le facevano perdere il senso del tempo quando s’immergeva nello studio della sua città e dei suoi abitanti.

Il Premio nasce lo stesso giorno della sua perdita. Lo propose Luca Leone, che è stato amico prima ancora di diventare editore, a Laura Clarke e a me, che lo accogliemmo con entusiasmo, e così fecero anche gli altri amici ai quali parlammo e i tanti che hanno voluto col patrocinio sostenere questa nostra iniziativa.
La condividemmo con entusiasmo per  la vera amicizia che ha legato ognuno a Barbara.
E me per vent’anni di amore.

Per questo mio solo merito mi hanno voluto presidente della giuria; ma proprio perché consapevole di questo solo merito, io mi sono voluto presidente senza diritto di voto, per eliminare il rischio e anche solo il sospetto che ragioni personali influenzassero la decisione finale della giuria.

Sottolineo questo aspetto per riconoscere valore ai vincitori del Premio: il loro lavoro è stato vagliato in modo assolutamente neutro rispetto alle ragioni che hanno fatto istituire il Premio.
Perché il Premio non è mai stato, né potrebbe esserlo simulacro o surrogato della presenza di Barbara.
Irreparabile la perdita, insostituibile la presenza che ancora sentiamo dentro di noi.

Il Premio lo abbiamo voluto per continuare un interesse (la storia sociale e le relazioni tra persone) e una modalità di comunicazione (la divulgazione e l’integrazione tra vari strumenti) che erano di Barbara, ma che hanno per noi un valore proprio e che abbiamo ritenuto giusto continuare a sostenere.
È lo stesso spirito con il quale Maria Rosa Patti e Ilenia Gradante continuano e sviluppano l’attività di Vita Romana, associazione culturale fondata da Barbara e che legge i luoghi e l’arte, evidenziando la vita delle persone che ne sono stati autori, fruitori, soggetti o che, più semplicemente ne sono entrati in contatto durante la loro vita.

Abbiamo voluto garantire questa integrazione tra contenuto e metodo anche nella composizione della giuria, che voglio ricordare: Laura Clarke, giornalista; Italo Sarcone, latinista; Alessandra Gissi, docente e componente della società italiana delle storiche; Luca Leone, scrittore, editore e giornalista; Bruno Mazzara, docente di psicologia sociale; Alessandra Montrucchio, scrittrice e giornalista; Claudia Pillonca, insegnante; Gianni Farinetti, scrittore.
Una diversità di approcci e di valutazione dei lavori in concorso che hanno garantito la scelta di quelli che con qualità rispettassero i canoni del bando.
Anche questo lo sottolineo per valorizzare i lavori che hanno vinto.

Come ho detto, la storia, l’arte, la cronaca lette attraverso la vita delle persone e le loro relazioni sono stati al centro del modo di essere di Barbara, nella sua attività di giornalista e di studiosa, come dimostra la sua esperienza professionale e culturale, sempre attenta alle ragioni e alla dignità dei deboli, in qualunque parte del mondo vivessero e in qualunque epoca fossero vissuti, con un’attenzione particolare alle donne e ai bambini.

Gli ambiti del suo interesse sono stati tanti e tali in un continuo rimando tra le parole per descriverli e le immagini per raffigurarli e condensarne le emozioni.
È così che nasce l’articolazione del Premio nelle due sezioni “Saggistica” e “Immagini”; che nel secondo bando diventano “Parole” e “Immagini”, non per gusto della simmetria ma per aumentare ancora le possibili forme di espressione, al teatro, la poesia, il reportage giornalistico, il racconto.

Voglio anche dire che la sezione “Immagini” non è meno importante dell’altra. Perché un’immagine può essere essa stessa una storia, come dimostra la foto di Maila Iacovelli e il suo progetto fotografico del quale la foto vincitrice fa parte.
D’altra parte, il ricorso all’immagine per Barbara era naturale e quotidiano.
Voglio ricordare, come episodio quasi da “Lessico famigliare”, la sua abitudine di redigere la lista della spesa non con i nomi ma con i disegni delle cose da comprare; se andavo a fare la spesa io non sempre riuscivo a distinguere le patate dai pomodori e se glielo dicevo Barbara mi faceva notare i dettagli del disegno che non mi avrebbero potuto far sbagliare.

A sua volta, il lavoro di Natalina Lodato, attraverso la storia di “Due+”, si dedica a un altro tema caro a Barbara, quello dell’evoluzione del ruolo della donna in condizione di piena dignità.
Anche a questo proposito voglio riportare un fatto di cui non ho mai parlato.
Quando Barbara stava già male, ma la speranza ancora non ci aveva abbandonato, scrisse una lettera a tutti gli organi d’informazione, per stigmatizzare l’immagine della donna che era ritratta dalla pubblicità, che solo per le donne trasforma ogni naturale aspetto della quotidianità in debolezza, inadeguatezza, carenza; al contrario della pubblicità destinata agli uomini, nella quale il prodotto enfatizza una qualità già naturalmente posseduta.

Mi sono accorto solo oggi che l’anno di fondazione di “Due+” e lo stesso in cui è nata Barbara, che quindi non ha vissuto a pieno quell’esperienza.
Io che ho qualche anno in più ricordo invece come fosse difficile anche negli ambienti progressisti avere il rispetto pieno della donna… Come quella volta che, in occasione del referendum per l’aborto, nel pieno del dibattito se la scelta finale spettasse alla donna o al medico, un compagno del PCI disse che spettava al consiglio di quartiere: una collettivizzazione dell’emotività, della dignità  e della libertà della donna oltre che del suo corpo che la dice lunga sulla strada che bisognava percorrere.
E che ancora bisogna percorrere, se dobbiamo ancora fare i conti con un’autistica e spesso criminale autoreferenzialità del ruolo maschile vissuto come status di possesso e non come relazione arricchente.

Credo che in maniera diversa i lavori che hanno vinto il Premio ci raccontino questo e che ce lo raccontino bene perché sono opera di due giovani donne.
Anche di questo siamo contenti.
E anche Barbara lo è.

Ilregolamento della seconda edizione del Premio Barbara Fabiani per la storiasociale è disponibile sul blog del Premio, all'indirizzopremiobarbarafabiani.blogspot.com