giovedì 29 gennaio 2015

I “Bastardi di Sarajevo”: come un colpo allo stomaco. Lettera-recensione di Bruno Maran


Se, prendendo in mano I bastardi di Sarajevo, restate colpiti già dal titolo, è la dimostrazione che l’autore Luca Leone ha centrato l’obbiettivo.
“Bastardi”, un termine inatteso nel titolo di un libro, è come un colpo allo stomaco, un termine non propriamente dolce e questo denota la volontà di inviare un chiaro messaggio: questo è un libro forte, deciso, diretto, che non lascia spazio a incertezze, a perifrasi.
“A chi sa leggere la Storia senza ipocrisie e rifugge le facili conclusioni”, recita la dedica del libro di Luca Leone (Infinito edizioni - 13 €), è un secondo avvertimento al lettore, dopo il titolo, e mantiene la promessa, senza ipocrisie, di affondare il coltello nella piaga della corruzione in un Paese senza speranza come la Bosnia-Erzegovina, appeso ad un Trattato (Dayton, 1995) che lo ingessa, lo blocca in un assurdo sistema politico che, invece di farlo uscire dai danni della guerra, lo condanna all’immobilismo, avvitandolo nella spira di due entità substatali, tre gruppi nazionali, decine di governi, centinaia di politici e di polizie locali.
Dopo la felice introduzione di Silvio Ziliotto, che lascia almeno aperta la prospettiva di un risveglio, forse improbabile, della “nostra“ Bosnia, immediatamente Luca Leone vi getta nel baratro della guerra, che, anche se scrive dell’oggi, sembra ancora in corso attraverso l’uso della punteggiatura, che ricorda in modo impressionante i colpi di kalašhnikov, le raffiche brevi di tre-quattro colpi per tenere il mirino dell’Ak-47 sul bersaglio in movimento, che può essere una donna con poche cose nella borsa racimolate nei desolati mercati della città assediata, un bambino, un uomo carico di taniche d’acqua, più lento, più facile da colpire…
Questa sinfonia di punti di sospensione ti accompagna per tutto il racconto, in tutti i suoi intrecci, come colonna sonora ripetitiva, ma appropriata, consona al drammatico scenario di una umanità esposta ai capricci di un cecchino o di un militare ubriaco ieri, oggi alla mercé di politici corrotti e senza scrupoli.
Sia che parli di Fatima e del dramma della sorella Azra, una delle migliaia di donne vittime dello stupro etnico, malata e senza denaro per curarsi; sia che descriva le imprese del violento, ma “efficiente” faccendiere Dubravko al servizio di uno spregevole onorevole arrivista, Luca Leone accompagna il suo racconto, che vorrebbe essere un romanzo di fantasia, ma ambientandolo nella Sarajevo post guerra non lo può essere, con la ripetizione di una punteggiatura, che non è sospensiva, è lacerante, che entra nel racconto senza mai uscirne, non come una sequenza di punti, ma un susseguirsi di colpi.
Uno dei temi fondanti de I bastardi di Sarajevo è dunque la corruzione, quella corruzione che in Bosnia è totale, perché tutto ruota attorni ai fondi statali, unica vera risorsa di un Paese che spende gran parte del suo budget solo per la sopravvivenza della sua elefantiaca struttura. In Bosnia vi è una classe politica corrotta e aggressiva, collegata da sempre alla criminalità, i cui i capi dei partiti politici, espressione quasi sempre di componenti nazionali, sono i maggiori responsabili dello stritolante connubio. Con questa classe politica il popolo bosniaco ha perso la guerra un’altra volta, hanno vinto i faccendieri, i “lupi della politica”, i “bastardi”, una nomenklatura che l’Occidente, dopo non aver visto i massacri, gli stupri, si ostina a considerare interlocutore.
Un libro che lascia amaro in bocca, che fa rabbrividire al pensiero di una nazione in balia di “bastardi” e non di galantuomini, con le tombe ancora fresche nei cimiteri che avvolgono Sarajevo e tutta la Bosnia; che dipinge l’onorevole Šemso talmente veritiero, che non occorre usare la fantasia per immaginarlo; che riporta l’orrore dei cecchini, gli snaipers in viaggio turistico dall’Italia per sparare a prede umane a pagamento; il dramma dei giornalisti indipendenti o non asserviti, massacrati brutalmente per metterli a tacere, affinché non svelino le infami trame della politica. A qualche pagina infatti basterebbe sostituire i nomi bosniaci con nomi italiani per vivere una pagina di casa nostra. Il libro ammonisce, tra le righe, che non bisogna guardare altrove per vedere o per capire, che certi problemi sono presenti anche da noi, troppo spesso non visti o non considerati: non dimentichiamo che i “bastardi” sono ovunque...
La Bosnia ancora una volta è più vicina di quello che si crede, lo era nell’orrore di ieri, lo è oggi nella rappresentazione dura e violenta di una società magistralmente descritta dall’autore. I bastardi di Sarajevo è un libro di fantasia, ma talmente ben inserito nella storia e nei fatti di Bosnia, che supera molti libri di Storia, figlio delle profonde conoscenze di Luca Leone, ma anche della sua capacità di inserirsi nei drammi presenti e passati con grande umanità, senza retorica, senza preconcetti, senza luoghi comuni.