giovedì 31 agosto 2017

Marian, De Andrè, i pregiudizi e quel sei e mezzo

Ieri sera sono riuscito a “staccare” dal lavoro prima delle otto e mi sono concesso una quarantina di minuti di cyclette. Una specie di fioretto prima dell’abbrutimento alimentare serale da stress. Nei dodici chilometri di strada in salita ho fatto girare una compilation a me cara e – come ormai accade a chi comincia a invecchiare – sono partiti i ricordi.
A un certo punto sono inciampato su un ricordo veramente recondito. Anno 1987, liceo classico, tema: qualcosa tipo commenta una canzone che ti ha particolarmente colpito. Pochi mesi prima era uscito un disco a me ancora oggi molto caro, un’opera rock intitolata Afternoons in utopia, scritta dal grande Marian Gold, di cui in Italia conoscevamo l’esistenza forse in sei o settemila. Ma vi assicuro che è un gran disco, fiati inclusi. Il singolo del cd s’intitola Dance with me. Un pezzo per l’epoca sperimentale in cui si fondono molto saggiamente parte elettrica, incluso l’assolo di chitarra iniziale, ed elettronica. Tipo gli Eurythmics, potremmo dire, ma molto di più, con molto più spessore musicale. Io usai il testo di quella canzone per il mio tema. Fin da ragazzino ero fissato col sociale e probabilmente anche per questo sono cresciuto un po’ triste, quindi via a farsi del male con un pezzo che parlava di prostituzione. E tra una strofa e l’altra, riflessioni, numeri, statistiche e tutto un po’.
Pierino, il professore di Italiano, mi diede sei e mezzo. Non perché il tema non andasse. Mi scrisse, infatti, sotto al voto: di più non ti do perché da te mi aspettavo il commento di una canzone di Fabrizio De Andrè. E che c’entra?, pensai io. Mica puoi impormi la musica che voglio ascoltare! Ma per molti adulti era ed è così. Loro non hanno più la forza si sperimentare, di cercare, di sognare, di scartabellare tra le meraviglie e le schifezze della creatività umana e si fermano a quel che hanno conquistato, poco o tanto che sia. Il resto vale niente.

Io ho sempre fatto scelte musicali indipendenti. Credo che negli anni Ottanta in Italia fossimo in dieci ad ascoltare un gruppo australiano che si chiama Icehouse e che di questi tempi compie quarant’anni. E lo fa in tour. Solo che l’Australia non è dietro l’angolo. Tutti ascoltavano gli Inxs, scomparsi appena suicidatosi li loro leader, il povero Michael Hutchence, ammazzatosi a Sydney a 37 anni, o almeno così si dice. Questo era il massimo di australiano mai giunto in Italia, i sacri Ad/Dc a parte. Una volta, in quinto ginnasio, arrivai in classe con quel gran disco che è Songs from the big chair dei Tears for Fears (che nel loro genere hanno raggiunto una vetta mai toccata da altri) e una compagna di classe non perse tempo ad alludere a una mia possibile omosessualità. E se anche fosse stato? A lei che poteva mai fregargliene? I pregiudizi non conoscono età, questo è il problema. L’unica differenza secondo me non è che ci siano state epoche in cui ne sono girati di più, altre in cui ce ne sono stati meno. Siamo sempre stati cattivi e ignoranti, fa parte dell’umanità. Cambiano probabilmente le età in cui te ne accorgi: prima di meno, poi via via sempre di più.
Forse anche l’episodio del sei e mezzo di Pierino mi ha spinto ad approfondire ancora di più, a continuare nella mia ricerca di ciò che non fa mercato e tendenza ma arriva veramente alla mia anima. In tutto questo, devo dire però che Pierino non è stato immune dall’avermi non poco allontanato da de Andrè, come reazione a una cultura saccente ed escudente.

Per inciso – e a buona conoscenza di Pierino, che magari nel frattempo non sarà neanche più tra noi – quando Marian Gold, che ha 61 anni ed è una delle voci rock più belle e potenti d’Europa, non lavora come cantante, fa il poeta e firma col suo vero nome, che è Hartwig Schierbaum. Marian/Hartwig pubblica libri e di tanto in tanto si diletta in qualche incontro pubblico. Il grande problema di Pierino, e di tanti altri, forse derivava dalla lingua: e che colpa ha Hartwig se è nato tedesco invece che italiano? Ecco: forse allora c’è proprio l’ignoranza – nel senso etimologico del termine – alla base di tanti pregiudizi. Anche se si è laureati e si ha la responsabilità d’insegnare a una venticinquina di adolescenti problematici senz’altro, ma potenzialmente ricchi di tante capacità.