Amadou Kane, emigrante senegalese, attraverso il racconto
del suo viaggio pieno di peripezie diventato libro a quattro mani scritto
insieme a Giulio garau, dal titolo Il sogno fasullo.
Memorie di un raffinato senegalese in Italia svela i retroscena della migrazione verso il nostro Paese e denuncia come le
tante bugie e leggende diffuse tra i giovani africani, illusi e spinti a raggiungere
un paradiso che non esiste, finendo vittime dei racket. Dopo anni di
lotte, conquiste e delusioni, Amadou capisce che il luogo della felicità non è la tanto decantata Italia ma laddove si
trovano le sue radici, nello stesso
Senegal da cui è voluto andare via. In questo libro vuole raccontare tutta la
verità ai suoi fratelli per scoraggiare coloro che vengono a cercare di
realizzare invano sogni in Europa.
Qui
riportiamo un brano tratto dal libro, molto intenso, con il duro incontro con
la realtà.
“Dopo circa un quarto d’ora il bus è arrivato alla
nostra fermata, un grande centro commerciale con un supermercato. Abbiamo fatto
un piccolo tratto di strada a piedi e ci siamo diretti verso il supermercato.
Ero molto agitato, non capivo cosa stesse succedendo. Ed è stato a quel punto
che ho notato, nel parcheggio esterno, un sacco di ragazzi neri, tutti
senegalesi. “Che cosa ci fanno qui?”, ho chiesto a Cheikh. “Stanno lavorando”
mi ha risposto, e subito l’ho incalzato: “Ma che lavoro fanno?”. “Semplice,
vendono”, mi ha risposto con una naturalezza che mi ha lasciato senza parole.
Continuavo a non capire e non mi è venuto il minimo sospetto o il pensiero che
quelle persone sarebbero diventate i miei “colleghi”.
Calze “filo di Scozia”, maglie, abbigliamento intimo, mutande, canottiere, ma anche i rotoli di sacchi neri dell’immondizia, che allora andavano a ruba. Due o tre volte alla settimana ci pensava Mauro, il grossista, a rifornire tutti di merce. Ero confuso, fremevo per sapere che tipo di lavoro mi aspettasse ed è stato a quel punto che ci siamo fermati e Cheikh mi ha detto di aspettarlo un momento. È tornato poco dopo con una grande scatola di cartone con dentro alcune cose che non riuscivo a distinguere poi, con aria solenne, si è fermato davanti a me per parlarmi. “Fratello, oggi inizierai a lavorare”. C’è stato un interminabile silenzio. Io stavo iniziando a tremare tutto e con un soffio di voce gli ho chiesto: “Ma qual è il lavoro…?”. “Questo”, ha risposto indicando la scatola, stupito che non avessi già capito. “Ti ho già preso la merce, è dentro la scatola; tu la devi solo sistemare, esporla come fosse in vetrina”. Ero letteralmente paralizzato. Ho trovato l’energia residua dentro di me per replicare: “Ma scherzi?”. “No, no assolutamente! Tu farai come loro, devi metterti a vendere…”.
Calze “filo di Scozia”, maglie, abbigliamento intimo, mutande, canottiere, ma anche i rotoli di sacchi neri dell’immondizia, che allora andavano a ruba. Due o tre volte alla settimana ci pensava Mauro, il grossista, a rifornire tutti di merce. Ero confuso, fremevo per sapere che tipo di lavoro mi aspettasse ed è stato a quel punto che ci siamo fermati e Cheikh mi ha detto di aspettarlo un momento. È tornato poco dopo con una grande scatola di cartone con dentro alcune cose che non riuscivo a distinguere poi, con aria solenne, si è fermato davanti a me per parlarmi. “Fratello, oggi inizierai a lavorare”. C’è stato un interminabile silenzio. Io stavo iniziando a tremare tutto e con un soffio di voce gli ho chiesto: “Ma qual è il lavoro…?”. “Questo”, ha risposto indicando la scatola, stupito che non avessi già capito. “Ti ho già preso la merce, è dentro la scatola; tu la devi solo sistemare, esporla come fosse in vetrina”. Ero letteralmente paralizzato. Ho trovato l’energia residua dentro di me per replicare: “Ma scherzi?”. “No, no assolutamente! Tu farai come loro, devi metterti a vendere…”.
Faceva molto freddo e l’atmosfera era densa come non
mai. “Ascolta – ha ripreso Cheikh con un tono di voce più morbido – qui ci sono
le calze, poi ci sono le maglie, le mutande e le canottiere, tutto in tre paia.
A fianco ci sono i sacchetti delle immondizie, un pacco da trenta. Ricordati
sempre queste parole: ‘Diecimila lire’. Non serve nemmeno che la pronunci per
intero, basta ‘dieci’, e rispondi così per ogni cosa che ti chiedono. Oltre a
‘dieci’ devi tenere bene a mente altre due parole: ‘grazie’ e ‘prego’. Devi
essere molto svelto però: quando vedi una persona arrivare devi corrergli
incontro e prima di tutto devi dire ‘prego’” .
Cheikh non se n’era accorto, ma in quel momento la terra è franata improvvisamente sotto i miei piedi. Ho smesso di tremare e mi è sembrato di sprofondare mentre attorno a me si faceva buio. Non avevo più parole, la voce mi si era spenta in gola. Ho cercato di guardarlo negli occhi incredulo, ho dato uno sguardo alla scatola e alla fine ho sperato di trovarmi dentro uno dei miei incubi. Ma quando ho provato a risvegliarmi strizzando gli occhi ho capito che quella era la realtà. Fuori c’era un freddo tremendo, eravamo in pieno gennaio; le lacrime hanno iniziato a sgorgare dai miei occhi e non hanno fatto nemmeno in tempo a scendere sulle guance che erano già quasi gelate.
Ho guardato Cheikh che mi osservava sconcertato con quel muso nero incorniciato dai riccioli rasta e ho trovato la forza per dire solo: “Va bene, grazie”. Alla fine, lui mi aveva portato qui e aveva cercato, alla sua maniera, di mettermi nelle condizioni di lavorare. Ero debolissimo, non stavo nemmeno in piedi e mi sono seduto. “È quello che facciamo tutti noi”, ha detto cercando di spiegarmi cosa stesse succedendo e per dissipare il mio stupore. “No, non preoccuparti… non è per te, è una cosa dentro di me…”, ho risposto.”
Cheikh non se n’era accorto, ma in quel momento la terra è franata improvvisamente sotto i miei piedi. Ho smesso di tremare e mi è sembrato di sprofondare mentre attorno a me si faceva buio. Non avevo più parole, la voce mi si era spenta in gola. Ho cercato di guardarlo negli occhi incredulo, ho dato uno sguardo alla scatola e alla fine ho sperato di trovarmi dentro uno dei miei incubi. Ma quando ho provato a risvegliarmi strizzando gli occhi ho capito che quella era la realtà. Fuori c’era un freddo tremendo, eravamo in pieno gennaio; le lacrime hanno iniziato a sgorgare dai miei occhi e non hanno fatto nemmeno in tempo a scendere sulle guance che erano già quasi gelate.
Ho guardato Cheikh che mi osservava sconcertato con quel muso nero incorniciato dai riccioli rasta e ho trovato la forza per dire solo: “Va bene, grazie”. Alla fine, lui mi aveva portato qui e aveva cercato, alla sua maniera, di mettermi nelle condizioni di lavorare. Ero debolissimo, non stavo nemmeno in piedi e mi sono seduto. “È quello che facciamo tutti noi”, ha detto cercando di spiegarmi cosa stesse succedendo e per dissipare il mio stupore. “No, non preoccuparti… non è per te, è una cosa dentro di me…”, ho risposto.”
Il libro:
Titolo: Il sogno fasullo. Memorie di un raffinato migrante senegalese in Italia
Autori: Amadou Kane e Giulio Garau
Titolo: Il sogno fasullo. Memorie di un raffinato migrante senegalese in Italia
Autori: Amadou Kane e Giulio Garau
Prefazione di Paolo Rumiz,
introduzione di Diego Marani
Pag.
112 - € 13