martedì 19 dicembre 2017

Višegrad: le storie, l’anima, la terra - la lettera di Lorenzo Gambetta


Il viaggiatore balcanico Lorenzo Gambetta ha letto Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio e mi ha inviato ieri questa bella lettera, che è recensione, riflessione, mea culpa collettivo, promessa. Grazie a lui per averla scritta, a voi che la leggerete e poi troverete la voglia di leggere Višegrad. L’odio, lamorte, l’oblio.

È un libro che non finisce nella tua libreria per caso: se ti è stato regalato, arriva da un finissimo buongustaio, se lo hai comprato conosci bene Višegrad, la Bosnia, l’orrore di una guerra assurda. Assurda sì, forse anche meno conosciuta di quello che si dovrebbe.
Per chi come me è nato in Italia negli anni Ottanta, la guerra nell’ex Jugoslavia non è stata “vissuta”, troppo piccoli, troppo ingenui. I ricordi che si hanno sono legati alle brevi immagini del Tg delle 20,00 dove si vedevano i palazzoni socialisti di Sarajevo che bruciavano, il ponte di Mostar che cadeva sotto infame bombardamento e una frase bisbigliata che diceva di cambiare canale perché non era roba per bambini. Già, non era roba per bambini. Forse però lo era per gli adulti, che di fronte a tante atrocità hanno dimenticato troppo in fretta i moniti e le vacue promesse fatte quando sono stati aperti e resi pubblici i cancelli dell’inferno dell’olocausto.
Tutti conoscono la triste storia di Anna Frank, pochissimi conoscono quella di Zlata Filipović. Eppure si tratta di due bambine i cui occhi hanno visto in egual misura il terrore, la morte, l’angoscia e la disperazione. Parimenti tutti hanno letto I promessi Sposi, pochissimi Il ponte sulla Drina, nonostante Ivo Andrić fosse un premio Nobel. Troppo lontana la Bosnia, troppo difficile da capire quella terra tormentata alla confluenza di due mondi, cristiano e musulmano, dove si incontrano da sempre etnie, religioni e culture. Bosnia terra di sangue, di miele e di ponti, come quello sulla Drina appunto, a Višegrad.
Sono convinto che con questo libro Luca Leone possa riuscire dove non è riuscito Andrić, ovvero fare in modo che il ponte e il fiume di questa città entrino nell’orbita della percezione dell’uomo qualunque. Sono troppo distanti dalla sua vita quotidiana il visir Mehmed Pascià o i Beg che parlano di stelle e di Allah sulla Kapija, più facile venga svegliato dal suo colpevole torpore leggendo di Bakira, di Kym, di Lejla, di Kanita e del gigante triste Amor. Storie di esseri umani forti, a cui è stato tolto tutto ma che nonostante questo hanno una forza e una dignità senza eguali.
Le parole del libro sono toccanti, hai la sensazione di essere di fronte a queste persone ad ascoltare le loro storie. Essere di fianco a Luca Leone che, con un nodo alla gola, le ascolta. E con lui vorresti abbracciarle, vorresti piangere, a tratti vomitare, poi urlare. Ti rendi però conto che non puoi che provare vergogna, per colpe non tue certo, ma il senso di umanità che c’è in ognuno di noi viene scalfito prepotentemente e irrimediabilmente. Non può che essere così. Ed è giusto che lo sia, perché questo libro non finisce, sfogliata la sua ultima pagina.
Le storie e la terra in esso contenute, sono vive. Oggi più che mai. Nell’odierna Bosnia, che in questi giorni festeggia mestamente l’anniversario degli accordi di Dayton che posero fine alla guerra che ha devastato le sue interiora, in troppi soffiano beffardi sulle braci ancora calde, facendo leva sui nazionalismi e sulla mancanza di speranza del popolo, povero e costretto a lasciare la propria amata terra. Non può esserci un futuro per questo Paese se prima non viene trovata giustizia. Quella giustizia che è stata negata troppe volte, alle madri di Srebrenica, agli abitanti di Višegrad, ai prigionieri di Jasenovac, Prijedor, Foča, agli abitanti resilienti della Sarajevo assediata. E a tanti altri. A troppi altri.
Questo libro pesa, più di quanto sembra. Dopo averlo letto non si hanno più scuse, non si può più fare finta di niente. Non si può metterlo su uno scaffale a prendere polvere, ma va tenuto sul comodino, perché ci ricordi ogni giorno il carico di morte, di vita e di oblio che contiene.

Lorenzo Gambetta