Le
proteste di piazza – anche violente, purtroppo – che la scorsa settimana hanno
scosso la Bosnia Erzegovina sono state, come c’era da temere, oggetto di
inevitabili strumentalizzazioni da parte dell’estremismo politico serbo,
serbo-bosniaco e croato. Così, mentre i cittadini, arrabbiati contro i politici
corrotti e inetti e per il gravissimo livello della disoccupazione (che ormai
oscilla tra il 45 e il 50 per cento della popolazione attiva) scendevano in
piazza per rivendicare i loro diritti, chiedere le dimissioni dell’intera
classe politica ed elezioni anticipate, i tromboni della propaganda
ultranazionalista si mettevano immediatamente in funzione per ricominciare a suonare
la marcia funebre di stupidità e ignoranza grassa che tanti morti e tanta
distruzione ha provocato nella ex Jugoslavia negli anni Novanta dello scorso
secolo.
“Sapevamo
che qualcosa doveva succedere, ma quello che non ci aspettavamo è la violenza delle
proteste che si è manifestata il secondo giorno, mercoledì scorso. – mi ha
detto una fonte molto bene informata di Tuzla, città epicentro delle proteste –
Per fortuna i giovani, i più numerosi ad aver partecipato alle proteste, ben
presto hanno capito quello che è successo e immediatamente si sono attivati per
riparare e ripulire ciò che è stato danneggiato”.
Qualche manifestazione continua a svolgesi in modo del tutto pacifico, e già qualche piccolo segnale – sotto forma di dimissioni di alcuni amministratori e di promesse da parte del governo centrale bosniaco di elezioni anticipate – sembra poter essere colto. “Quel che più dispiace apprendere – continua la fonte indipendente di Tuzla – è che, la scorsa settimana, alcuni influenti politici della Serbia, della Croazia e soprattutto della Republika Srpska di Bosnia si sono lasciati andare a dichiarazioni farneticanti e offensive nei confronti dei manifestanti bosniaci”, bollando davanti ai media dei loro Paesi le proteste di piazza contro la corruzione e la disoccupazione in attacchi di stampo etnico contro i rispettivi “popoli”, che si trattasse di croato-bosnaici o di serbo-bosniaci. È il ritornello mortale e devastante che veniva cantato in continuazione dalle sirene – in buona parte rimaste impunite e al potere – del nazionalismo senza vergogna prima che scoppiassero le guerre jugoslave degli anni Novanta. I palloni gonfiati del nazionalismo tornano a soffiare il loro alito infettato di odio, pregiudizio e interesse personale sui popoli ex jugoslavi, con il solito scopo di dividere, contrapporre, creare odio contro “l’altro”. E dando al resto del mondo un’immagine arretrata e tribale delle società ex jugoslave che nulla ha a che vedere con la realtà.
Per
fortuna, in mezzo a tanti imbecilli s’è levata anche qualche voce sensata,
retta, onesta. Come quella di Aleksandar Popov, esponente del Centro per il
regionalismo di Novi Sad, in Serbia, secondo cui – come ha dichiarato a Radio Slobodna Evropa – le dichiarazioni
dei politici ultranazionalisti serbi e croati sono uno spudorato “tentativo,
con la vecchia ricetta di sempre, di trasformare una protesta puramente di
carattere economico, provocata dalla fame e dalla povertà, in discordia, e di
mettere fine alla solidarietà sociale, per ricominciare la classificazione dei
popoli all’interno di recinti nazionali in cui i popoli stessi tornerebbero di
nuovo padroni dei loro destini. Dicendo cose del genere, i politici della Repubblica
serba di Bosnia, grazie al sostegno di alcuni politici chiave in Serbia, vogliono
ingannare anche la gente della Bosnia Erzegovina con un messaggio di questo
tenore: non cascateci, perché si tratta di una trappola musulmano-croata
contro la Republika Srpska. Ma questo è, lo si può ben dire, un vero insulto”,
ha dichiarato Popov.