venerdì 28 febbraio 2014

Bosnia, nel regno senza regole dei tycoon

Un interessante articolo di Italintermedia segnala come ormai siano un numero compreso tra 85 e 90 i milionari (in euro, non certo in marchi convertibili) di cittadinanza bosniaca con un capitale personale di almeno trenta milioni di euro. Il numero dei tycoon bosniaci è aumentato di una ventina di unità nel corso del 2013 e la somma delle ricchezze di costoro si aggirerebbe intorno ai 6,5 miliardi di euro.
La presenza di un rilevante numero di ricchi in Bosnia Erzegovina non è una novità. Si sa da anni che dallo sfaldamento della Jugoslavia socialista sono usciti circa 500 milionari (in euro), una buona metà dei quali risiede in Croazia, mentre gli altri sono sparpagliati negli altri Paesi della regione, a cominciare dalla Serbia e dalla Bosnia. Di questo e di molto e approfonditamente altro ho raccontato in “Bosnia Express”. Quel che va ulteriormente sottolineato è quanto segue:

  1. i capitali accumulati da costoro hanno spesso, se non sempre, oscure origini;
  2. nessuno ha mai osato né mai oserà, per ovvie ragioni di sicurezza personale, indagare sull’origine di questi arricchimenti (di personaggi che, in fin dei conti, hanno vissuto in un Paese socialista in cui l’accumulazione capitalistica era, di fatto e per legge, vietata…);
  3. si tratta, in buona parte, oltre che di soldi fatti in modo eticamente e moralmente discutibile, di denari improduttivi, che quindi non vengono reinvestiti per creare occupazione e ricchezza in una società in cui lo stipendio medio si aggira intorno ai 400 euro al mese e la disoccupazione (almeno in Bosnia) oscilla tra il 45 e il 50 per cento;
  4. buona parte di questi tycoon ha messo le mani, grazie a questi capitali, sui media e sulla politica locale, utilizzando il Paese come loro strumento di controllo per confermare il loro status sociale e farsi gli affari propri.
Quando si parla di estendere l’ingresso dei Paesi balcanici all’Unione europea (e la Croazia è appena entrata – luglio 2013 – come tutti sanno), le teste d’uovo di Bruxelles dovrebbero forse fare più caso al fenomeno sopra descritto, perché far entrare questi Paesi nell’Europa comune senza far luce sull’origine di certi capitali vuol dire spalancare le porte a un’infezione. Un’infezione che sta colpendo con lo strumento della repressione, della propaganda nazionalistica e della fame, milioni di esseri umani. Nel silenzio sconcertante, ma ormai consueto, di Bruxelles e delle teste d’uovo europee.