giovedì 13 febbraio 2014

Bosnia: “Non c’è la neve, avete rubato anche quella”

L’inverno stranamente mite anche nei Balcani ha ispirato uno striscione significativo, esposto ieri da un paio di centinaia di manifestanti a Sarajevo, sotto la pioggia: “Non c’è la neve, avete rubato anche quella”, c’era scritto, a sintetizzare lo stato d’animo dei cittadini della Bosnia Erzergovina nei confronti dei politici nazionali e locali, accusati di aver intascato il possibile e l’impossibile negli ultimi vent’anni, invece di provare a fare gli interessi di un Paese mantenuto in condizioni orribili di povertà. È, con parole sue, quel che sempre ieri ha dichiarato anche il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, il primo dei rappresentanti di Paesi stranieri giunto a Sarajevo per spingere “le forze politiche bosniache ad adoperarsi per un efficace funzionamento del Paese” ma anche per dare un’occhiata allo stato dei molti investimenti turchi in Bosnia e che nessuno li danneggiasse.
Intanto, sempre all’impronta della moderazione, in molte città bosniache continuano le manifestazioni di protesta contro la corruzione politica e la povertà in cui langue la Bosnia, mentre va facendosi strada in molte località un esperimento molto interessante chiamato “assemblee dei cittadini”. Queste ultime sono vere e proprie assemblee pubbliche aperte a tutti, nelle quali si discutono problemi comuni, si cerca di trovare una soluzione per una guida tecnica e non politica delle città e dei cantoni e si fa la lista delle collusioni tra politica, criminalità, business e magistratura, denunciando le operazioni economiche illegali, gli arricchimenti criminali e le privatizzazioni sospette del fior fiore delle imprese nazionali, tra quelle scampate alla guerra del 1992-1995.

Questo evidentemente non piace alla politica ufficiale, quella accusata, prove alla mano, di aver rubato e consegnato il Paese alle lobby e al crimine organizzato, nel totale silenzio della comunità internazionale. Si susseguono dunque le accuse, anche di carattere “etnico”, tra i vari raggruppamenti politici e i reciproci inviti a dimettersi, mentre sono ben pochi quelli che compiono il fatidico passo, liberando le istituzione dalla loro infausta presenza. Il momento forse più comico e al contempo tragico lo si è avuto ieri, in materia, quando il ministro dell’Interno, il populista tycoon Fahrudin Radončić, ha avuto il coraggio di presentarsi in televisione dichiarando di avere a lungo avvertito i colleghi politici che si sarebbe finito per provocare una protesta popolare, se non si fosse cambiato atteggiamento. Radončić ha però omesso di spiegare che lui è uno dei politici più discussi del panorama bosniaco e che le sue speculazioni immobiliari – e non solo quelle – sono da tempo nel mirino dell’opinione pubblica, stufa del padreternismo di certi personaggi sulla scena pubblica e imprenditoriale bosniaca. L’intervistatore ha evidente omesso di ricordare questo particolare non insignificante a Radončić, scoperchiando un’altra pentola piena di vermi, oltre a quella della politica, delle banche e degli affari, ovvero quella della stampa e della tv di proprietà dei tycoon o controllate dalla politica, testate in cui è del tutto sconosciuto il concetto di libertà di stampa e di critica, e in cui l’appiattimento sulle posizioni di chi gestisce il potere è completo. Non va dimenticato, ad esempio, che lo stesso Radončić è proprietario del più potente quotidiano della Bosnia Erzegovina, dettaglio questo non indifferente. L’etica giornalistica non è stata brutalizzata solo in Italia ma nei Balcani si è arrivati, negli ultimi anni, a livelli che per fortuna sono ancora ignoti al nostro Paese (ma non è dato sapere ancora per quanto tempo…).

Le manifestazioni – è bene ripeterlo, di stampo non etnico – nel frattempo continuano, anche se, per fortuna, non si segnalano più disordini e danneggiamenti. L’auspicio è che il mondo non continui a voltare le spalle alle Bosnia.