mercoledì 5 agosto 2015

#MeseDellaMemoria: Srebrenica vent’anni dopo/27 – Saluti finali

Abbiamo compiuto insieme un bel viaggio lungo un mese. Grazie a chi ha inviato un suo testo, a chi ha letto, a chi ha rilanciato, a chi ha riflettuto.
La pagina del genocidio di Srebrenica rimane aperta, come resta aperta la pagina delle violenze commesse nella stessa area ai danni dei civili serbo-bosniaci tra il 1992 e il 1993. Due piani giuridici diversi, ma comunque due pagine della vergogna. Pagine tragiche per le quali ben pochi hanno pagato e forse nessuno è destinato a farlo.
L’impunità ha vinto a Srebrenica e dintorni, almeno fino a oggi. E questo dovrebbe preoccupare e inquietare tutti, indipendentemente dal tifo di parte, che è e rimane qualcosa di stucchevole e, a tratti, abominevole.
Nella zona di Srebrenica giacciono ancora circa la metà dei quasi 8.000 desaparecidos bosniaco-erzegovesi; e vive una parte dei circa 16.000 criminali che nel conflitto del 1992-1995 s’è sporcata le mani di sangue e non ha mai pagato neppure con un secondo di galera.
Bastano questi due dati a ricordarci il fallimento della giustizia, sia bosniaca che internazionale, e la caducità di certe frasi sussurrate al vento, come sempre: “Mai più”.
Per far sì che non accada mai più veramente, bisognerebbe perseguire i colpevoli e lasciare scolpito finalmente nella pietra il principio per il quale non si fanno sconti, e chi commette atrocità deve pagare. Ma così non è e non sarà, e tra un anno ci ritroveremo a dire le stesse cose di sempre, mentre i 16.000 di cui sopra si saranno goduti altri dodici mesi di impunità.
Il nostro messaggio, per il secondo anno consecutivo, attraverso questa iniziativa, è stato semplice e netto: Srebrenica non va ricordata solo l’11 luglio, ma va ricordata sempre. E questo vale anche per mille altre tragedie dell’umanità.
Grazie a chi ha voluto partecipare e gettare un sassolino nello stagno. Peccato per chi, adducendo le scuse più fantasiose – “Ora non ho tempo”, “Magari la prossima volta”, “Sto partendo, ma l’anno prossimo di sicuro…”, “Te lo mando, come no…”, eccetera – non ha trovato dieci minuti per scrivere un pensiero e magari durante tutto l’anno gioca a fare il paladino dei diritti umani.
La strada è tracciata e si va avanti. Con chi ne ha voglia e senza chi si riempie la bocca di slogan, salvo poi farsi semplicemente gli affari suoi.
I chilometri e gli anni non possono rimuovere quel che è accaduto: Srebrenica è là a ricordarcelo. Si tratta solo di voler continuare a essere umani e mettercela davvero tutta perché non si smarrisca la strada verso la giustizia e perché, davvero, non accada mai più.

Luca Leone