venerdì 20 ottobre 2017

22 ottobre 1992, a Višegrad va in scena il massacro di Sjeverin

Višegrad, Valle della Drina, Bosnia orientale: qui dal 19 maggio 1992 comandano i cugini Milan e Sredoje Lukić, sanguinari paramilitari serbo-bosniaci che, con le loro Aquile bianche, un gruppo di assassini ancora oggi in larga parte impuniti, impongono alla cittadina e ai villaggi nei dintorni un regime del terrore e dell’orrore.
I due cugini si rendono protagonisti di una serie di episodi tremendi e con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di decine di civili all’interno di case private compiono una completa pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire.
Il 22 ottobre 1992 sedici musulmani-bosniaci, quindici uomini e una donna, in viaggio per motivi di lavoro, sono rapiti sull’autobus di linea serbo che viaggiava da Sjeverin a Priboj, in Serbia. L’autobus viene fermato dal gruppo paramilitare serbo-bosniaco delle Aquile bianche, al comando di Milan Lukić, a circa due chilometri dalla cittadina serbo-bosniaca di Rudo. Dopo aver controllato i documenti di tutti i passeg­geri, i paramilitari ordinano ai “non-serbi” di scendere dal mezzo. I bo­sniaci saranno caricati su un camion davanti al bar Amfora, brutalmente torturati nell’hotel Vilina Vlas, portati sulla riva della Drina, uccisi e i corpi gettati nel fiume. L’unico musulmano sull’autobus a salvarsi è Ad­mir Đikić, 13 anni, che ha la prontezza di riflessi di nascondersi dietro Ilija e Desa Kitić, una coppia di serbo-bosniaci che gli salvano la vita dichiarandolo loro figlio. La strage dei passeggeri di Sjeverin è il primo caso in cui i para­militari serbo-bosniaci assassinano non dei musulmani-bosniaci cittadini della Bosnia Erzegovina, ma dei musulmani-bosniaci cittadini serbi. Per i fatti della cosiddetta strage di Sjeverin a oggi sono stati condannati solo quattro responsabili, ovvero Milan Lukić, che ha avuto l’ergastolo per la somma dei suoi crimini, Dragutin Dragićević e Oliver Krsmanović, cui sono stati comminati vent’anni di carcere, e Đorđe Šević, che ha avuto quindici anni.
Questa e tante altre vicende sono narrate in Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio (Infinito edizioni, 2017), reportage scritto sul campo dal giornalista Luca Leone.
“Purtroppo il nome di Rudo continua a essere associato a quest’episo­dio spaventoso – racconta nel libro, tra l’altro, Rato Rajak, sindaco di Rudo – ma noi non abbiamo nulla a che fare con questo crimine. Il gruppo delle Aquile bianche ha catturato un gruppo di persone che si stava recando al lavoro a bordo di un autobus che faceva la spola sulla linea Rudo-Priboj. Le vittime erano tutte del villaggio di Sjeverin, di­stante appena un paio di chilometri dal centro di Rudo, ma in realtà ap­partenente al comune di Priboj”, cittadina serba lungo il corso del fiume Lim. “Le vittime si stavano recando a lavorare da Sjeverin a Priboj, dove a quel tempo era attiva una grande fabbrica metalmeccanica. Da allora noi portiamo il peso e il dolore di quell’episodio – continua il sindaco –. D’altronde, poiché anche io ero un ufficiale dell’e­sercito della Republika Srpska di Bosnia, posso dire d’essere ancora oggi in contatto con soldati musulmani-bosniaci che combattevano dall’altra parte. Spesso parliamo di tutto quel che è successo. Se andate a Goražde e chiedete ai bosniaci di lì dei soldati serbo-bosniaci nemici che combattevano nei comuni confinanti, tutti vi metteranno per iscritto che quelli di Rudo erano diversi dagli altri. Perché noi di Rudo non abbiamo mai permesso a noi stessi e ai nostri concittadini di sporcarsi le mani con atrocità ma abbiamo sempre tenuto alto il nostro onore di soldati. Goražde è stata a lungo sotto l’assedio delle forze serbe, al quale hanno partecipato anche i soldati di Rudo. Ma nella zona sotto la responsabilità dei soldati di Rudo, non abbiamo mai sparato su persone o bersagli civili. Oggi abbiamo ottimi rapporti con il Comune di Goražde e il nostro gruppo folkloristico, famoso in tutta la ex Jugoslavia, partecipa al loro festival del folklore. E quando in sala entrano i nostri artisti, tutti scandiscono con gioia la parola ‘Rudo! Rudo!’. Purtroppo la guerra è qualcosa di sporco. Si sono verificati sin­goli crimini, subìti anche dalle famiglie serbe, commessi da persone che non è possibile forse neppure considerare esseri umani. A subire sono sempre stati i civili nei villaggi di confine, ora i musulmani-bosniaci, ora i serbo-bosniaci. Da noi per fortuna i crimini commessi sono stati pochi e i più gravi sono stati senza dubbio quelli perpetrati a Sjeverin e a Štrpci”.
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)