Višegrad,
Valle della Drina, Bosnia orientale: qui dal 19 maggio 1992 comandano i cugini Milan e Sredoje Lukić, sanguinari paramilitari
serbo-bosniaci che, con le loro Aquile bianche, un gruppo di assassini ancora
oggi in larga parte impuniti, impongono alla cittadina e ai villaggi nei
dintorni un regime del terrore e dell’orrore.
I
due cugini si rendono protagonisti di una serie di episodi tremendi e con
operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di
decine di civili all’interno di case private compiono una completa pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che
costituivano il 63 per cento della popolazione locale. Circa tremila
persone vengono uccise e
fatte scomparire.
Il 22 ottobre 1992 sedici
musulmani-bosniaci, quindici uomini e una donna, in viaggio per motivi di
lavoro, sono rapiti sull’autobus di linea serbo che viaggiava da Sjeverin a
Priboj, in Serbia. L’autobus viene fermato dal
gruppo paramilitare serbo-bosniaco delle Aquile bianche, al comando di
Milan Lukić, a circa due chilometri dalla cittadina serbo-bosniaca di Rudo.
Dopo aver controllato i documenti di tutti i passeggeri, i paramilitari
ordinano ai “non-serbi” di scendere dal mezzo. I bosniaci saranno caricati su
un camion davanti al bar Amfora, brutalmente torturati nell’hotel Vilina
Vlas, portati sulla riva della Drina, uccisi e i corpi gettati nel fiume.
L’unico musulmano sull’autobus a salvarsi è Admir Đikić, 13 anni, che ha la
prontezza di riflessi di nascondersi dietro Ilija e Desa Kitić, una coppia di
serbo-bosniaci che gli salvano la vita dichiarandolo loro figlio. La strage dei
passeggeri di Sjeverin è il primo caso in cui i paramilitari serbo-bosniaci
assassinano non dei musulmani-bosniaci cittadini della Bosnia Erzegovina, ma
dei musulmani-bosniaci cittadini serbi. Per i fatti della cosiddetta strage di
Sjeverin a oggi sono stati condannati solo quattro responsabili, ovvero Milan
Lukić, che ha avuto l’ergastolo per la somma dei suoi crimini, Dragutin
Dragićević e Oliver Krsmanović, cui sono stati comminati vent’anni di carcere,
e Đorđe Šević, che ha avuto quindici anni.
Questa e
tante altre vicende sono narrate in Višegrad. L’odio,
la morte, l’oblio (Infinito edizioni, 2017), reportage scritto
sul campo dal giornalista Luca Leone.
“Purtroppo
il nome di Rudo continua a essere associato a quest’episodio spaventoso – racconta
nel libro, tra l’altro, Rato Rajak, sindaco di Rudo – ma noi non abbiamo nulla
a che fare con questo crimine. Il gruppo delle Aquile bianche ha catturato un gruppo di persone che si
stava recando al lavoro a bordo di un autobus che faceva la spola sulla linea
Rudo-Priboj. Le vittime erano tutte del villaggio di Sjeverin, distante appena
un paio di chilometri dal centro di Rudo, ma in realtà appartenente al comune
di Priboj”, cittadina serba lungo il corso del fiume Lim. “Le vittime si
stavano recando a lavorare da Sjeverin a Priboj, dove a quel tempo era attiva
una grande fabbrica metalmeccanica. Da allora noi portiamo il peso e il dolore di
quell’episodio – continua il sindaco –. D’altronde, poiché anche io ero un
ufficiale dell’esercito della Republika Srpska di Bosnia, posso dire d’essere
ancora oggi in contatto con soldati musulmani-bosniaci che combattevano
dall’altra parte. Spesso parliamo di tutto quel che è successo. Se andate a
Goražde e chiedete ai bosniaci di lì dei soldati serbo-bosniaci nemici che
combattevano nei comuni confinanti, tutti vi metteranno per iscritto che quelli
di Rudo erano diversi dagli altri. Perché noi di Rudo non abbiamo mai permesso
a noi stessi e ai nostri concittadini di sporcarsi le mani con atrocità ma
abbiamo sempre tenuto alto il nostro onore di soldati. Goražde è stata a lungo
sotto l’assedio delle forze serbe, al quale hanno partecipato anche i soldati
di Rudo. Ma nella zona sotto la responsabilità dei soldati di Rudo, non abbiamo
mai sparato su persone o bersagli civili. Oggi abbiamo ottimi rapporti con il
Comune di Goražde e il nostro gruppo folkloristico, famoso in tutta la ex
Jugoslavia, partecipa al loro festival del folklore. E quando in sala entrano i
nostri artisti, tutti scandiscono con gioia la parola ‘Rudo! Rudo!’. Purtroppo
la guerra è qualcosa di sporco. Si sono verificati singoli crimini, subìti
anche dalle famiglie serbe, commessi da persone che non è possibile forse
neppure considerare esseri umani. A subire sono sempre stati i civili nei
villaggi di confine, ora i musulmani-bosniaci, ora i serbo-bosniaci. Da noi per
fortuna i crimini commessi sono stati pochi e i più gravi sono stati senza
dubbio quelli perpetrati a Sjeverin e a Štrpci”.“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)