Cadorna
e le alte sfere dell’esercito sapevano dello sfondamento. Sapevano, e non hanno
agito in conseguenza. Le informazioni, chiare e nitide, erano arrivate da più
parti. L’esercito austro-ungarico stava ammassando le sue truppe ormai da più
di un mese nei pressi di Tolmino, in faccia a Caporetto, dall’altra parte del
confine.
La
prima fonte la troviamo nei fatti di Carzano del settembre del ’17. Un maggiore
sloveno, tale Ljudevit Pivko, consegnò all’Italia un piano che, se messo in
atto, in poche mosse, avrebbe potuto far vincere la guerra all’esercito
italiano. Pivko in quel periodo prestava servizio a Carzano, in Valsugana, in
quel momento territorio austriaco. Il maggiore rivelò che la strada fino a Trento
era libera, che Trento stessa era sguarnita di uomini, che il grosso
dell’esercito si stava spostando a est, a Tolmino appunto. L’Austria stava
organizzando la madre di tutte le offensive.
Pivko
ricevette ascolto e si tentò di attuare il suo piano, ma i fatti di Carzano
finirono in tragedia.
Ora,
al di là delle motivazioni di quel fallimento, ciò che ci interessa è
semplicemente lo strascico che quella storia ha avuto, o meglio, che non ha
avuto. Perché anche se quella storia era finita male, a Cadorna rimaneva in
mano la grande informazione. Il grosso dell’esercito austriaco era in faccia a
Caporetto, pronto a sfondare. Non mancava molto. Tuttavia, il generalissimo
rimase immobile.
Non
bastasse, ulteriore conferma dello sfondamento arrivò a Cadorna qualche
settimana più tardi. A metà ottobre un ufficiale ceco, disertore austriaco,
portò l’informazione che un grande contingente germanico si stava organizzando
per un massiccio attacco davanti a Tolmino. Dopo qualche giorno, il 21 ottobre,
altri due disertori, romeni questa volta, portarono addirittura l’ordine di
attacco preciso che l’Austria avrebbe messo in atto.
Alle 2,00 bombe a gas. Alle 6,00 fuoco di
distruzione. Alle 8,00 attacco in fondovalle. Alle 15,00 a Caporetto.
E
così andarono le cose.
Tutto
quello che fece Cadorna, dopo l’ennesima conferma dello sfondamento imminente,
fu di inviare la brigata Napoli, la sera precedente al 24 ottobre, in località
Foni, esattamente davanti a Tolmino, in direzione Caporetto. Un pugno di uomini
ad arginare un esercito. Al mattino, la brigata Napoli non si fece trovare al
posto designato. Forse la notizia di quanto stava succedendo era in qualche
modo arrivata fino a loro e scelsero di sottrarsi a quel sacrificio inutile. Ma
la storia della brigata Napoli in quella notte non è rilevante. La vera
questione rimane legata a Cadorna.
Qualsiasi
stratega militare, nel mezzo di una guerra tanto maledetta, con un’informazione
tanto chiara fra le mani, avrebbe fatto una sola cosa, difficile anche solo da
pronunciare, ma unica scelta possibile. L’unico ordine militarmente sensato
sarebbe stato quello di bombardare Tolmino con artiglieria pesante, far
disperdere l’esercito nemico, rompere gli schieramenti. Lì c’era un formicaio
di uomini pronto a riversarsi in Friuli. Le linee di tiro erano facili e le
possibilità di riuscita evidenti.
Perché
Cadorna non l’ha fatto? Perché non ha agito?
La
domanda rimane, e rimarrà, forse per sempre, senza una risposta.
Il
racconto dei fatti di Carzano è contenuto nel romanzo Il Battaglione Bosniaco, di Daniele Zanon e Valerio Curcio.
La
storia dei disertori romeni e il perché dell’assenza della brigata Napoli a
Foni, sono i pilastri del romanzo storico Nina nella Grande Guerra, di Daniele Zanon.