Annullato.
Questa la decisione presa dalla Corte d’appello di Belgrado in riferimento al
processo istituito da un tribunale penale di primo grado serbo per l’assassinio
di 1.313 civili musulmano-bosniaci perpetrato a Srebrenica da un gruppo di otto
paramilitari serbi, tutti ex agenti di polizia, il cui leader era l’ex poliziotto Nedeljko Milidragović, noto anche col
nome di Neđo il macellaio. L’eccidio
è avvenuto dei giorni 13 e 14 luglio nel villaggio di Kravice, nei pressi di
Srebrenica. Le vittime erano state ammassate in un capannone e sono state
trucidate sparandovi all’interno e gettando tra i corpi bombe a mano. I
sopravvissuti sono stati finiti con colpi d’arma da fuoco. Al centro della
decisione della Corte d’appello di Belgrado c’è un vizio procedurale, che
purtroppo annulla quanto fatto fin qui dall’inizio del 2016: le imputazioni
contro gli otto paramilitari sarebbero state sollevate, infatti, quando c’era
un vuoto di potere all’interno della Procura per i crimini di guerra: il Procuratore
Vladimir Vukčević, infatti, era da poco andato in pensione e al suo posto non
era ancora stato nominato il successore, la signora Snežana Stanojković, che
arrivò a capo della Procura solo nel maggio del 2016.
Felici
gli otto presunti criminali e i loro legali, per tacere degli ultranazionalisti
serbi e serbo-bosniaci e processo completamente da rifare. Un vero peccato,
anche solo considerando l’impegno a oggi piuttosto lasco della giustizia serba
per consegnare alle patrie galere le migliaia di paramilitari che si sono
macchiati le mani di sangue sia nella guerra di Bosnia che nei conflitti nella
Krajina e nella Slavonia croate e nel Kosovo, a oggi assolutamente liberi.