lunedì 10 luglio 2017

Srebrenica, 11 luglio 2017: numeri, nomi e fatti da ricordare


Ventiduesimo anniversario del genocidio di Srebrenica. Le grancasse dei negazionisti suonano a tutta forza. Nessuna traccia di quell’immateriale facoltà nota come coscienza. Non pervenuti neppure vergogna e senso del limite.
L’11 luglio 2017 saranno solo 71 i poveri resti di vittime del genocidio sepolti nel Memoriale di Potočari. Nel 2016 erano stati 127, che avevano portato a 6.504 i corpi sepolti. All’appello mancano ancora circa 4.000 corpi. Ormai il lavoro di riconoscimento delle vittime è sempre più lungo e difficile. I resti dei 71 sepolti di domani sono stati ritrovati in trenta diverse fosse comuni, alcune delle quali secondarie.
Per la prima volta sarà presente una delegazione di tre parlamentari macedoni. Nulla invece, come di consueto, dalla patria del negazionismo, Banja Luka, e dalla sua gemella Belgrado. Anzi, il nuovo presidente Alexandar Vučić, ultranazionalista prestato per necessità alla causa del “moderatismo”, sarà addirittura in visita in Turchia, per incontrarsi con un altro “paladino” della giustizia e dei diritti umani, il suo omologo Recep Tayyip Erdoğan. Pecunia non olet, il denaro non ha odore. Almeno non a certi livelli. Come noto, né Banja Luka né Belgrado hanno mai riconosciuto il genocidio di Srebrenica, come Ankara non ha mai riconosciuto quello degli armeni. Per non parlare di chi oggi ancora non riconosce l’Olocausto – o di chi l’Olocausto lo ha subìto ma non riconosce Srebrenica, perché appunto pecunia non olet e gli interessi della Repubblica serba di Bosnia in Israele sono sempre più forti, come il giro annuo di soldi. Unico colpo, quello battuto da Belgrado dalla biografa – ma sarebbe meglio scrivere agiografa – di Radovan Karadžić e di Ratko Mladić, che avrebbe voluto presentare a Srebrenica, nella casa della cultura, proprio l’11 luglio, il suo nuovo libro, nel quale i suoi due eroi di cui sopra vengono glorificati e già assisi in cielo, nonostante siano ancora tra noi, per quanto almeno al momento in galera (Karadžić condannato solo a quarant’anni, Mladić in attesa di sentenza di primo grado). L’agiografa di cui sopra si chiama Ljiljana Bulatović. Magari qualche compiacente editore italiano che la traduca sarà disponibile a dare voce a questa nuova fanfara della negazione e della mistificazione. Stando a chi ha letto il libro, tra l’altro, la signora consiglierebbe di riesumare le bare delle vittime del genocidio e di spostarle da qualche altra parte nel territorio della Federazione di Bosnia Erzegovina, così da lasciare il terreno su cui sorge il Memoriale di Potočari a usi agricoli… Magari la signora dovrebbe fare un giro per la Repubblica serba di Bosnia: scoprirebbe che sono migliaia e migliaia gli ettari di terreno incolto a causa dell’incapacità – o forse della spudorata volontà – del governo serbo-bosniaco di investire per creare posti di lavoro o magari anche solo di garantire crediti all’agricoltura per meccanizzarla. Ma Dodik i soldi li usa in altri modi.
Unica buona notizia – per ora, ma poi vedremo in futuro – giunge dal municipio di Srebrenica, dove il giovane sindaco negazionista e ultranazionalista serbo-bosniaco ha negato a un’associazione di reduci serbo-bosniaci di posare nel giardinetto davanti alla sede comunale una statua raffigurante l’ex ambasciatore russo all’Onu, il defunto Vitaly Churkin, noto alle cronache nel 2015 per essersi opposto all’approvazione di una risoluzione di riconoscimento del genocidio di Srebrenica in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, presentata dalla Gran Bretagna. Sono due anni che gli estremisti serbo-bosniaci insistono in materia, corroborati nelle loro richieste anche dalla vergognosa installazione di una croce altra cinque metri e mezzo e pesante 400 chili su una delle alture che dominano Višegrad, il cui scopo è quello di celebrare i paramilitari russi morti in loco. Secondo il sindaco Mladen Grujčić è meglio non “versare olio sul fuoco”. A volte anche tra gli ultranazionalisti si alza una voce capace di dire qualcosa di senso compiuto… Varrà la pena di ricordare che i paramilitari russi sono stati attivi anche a Srebrenica, dove però, oltre a quelli serbi, il grosso del lavoro sporco è stato compiuto dai paramilitari greci. Di loro non si parla mai. Varrebbe invece la pena farlo, perché quei cittadini dell’Unione europea hanno partecipato in prima persona a un genocidio: quello di Srebrenica.