Oggi cade l’anniversario della
strage di Bologna, avvenuta nella sala d’attesa della stazione centrale
bolognese alle 10,25 per l’esplosione di un ordigno a tempo. Vogliamo
ricordare questo episodio gravissimo della nostra storia con le parole del
nostro Angelo Lallo che ha ripercorso quelle ore nello splendido e intenso
libro dal titolo Mala
Dies. L'inferno degli ospedali
psichiatrici giudiziari e delle istituzioni totali in Italia
“I giorni di Bianca passarono sempre uguali,
tra giardino, qualche passeggiata, molte letture. Viveva come sospesa
nell’aria, senza interessi, senza niente. Tutti le volevano bene, si mimetizzava
nell’ambiente, e il suo cruccio più grande era di non avere mai avuto una
visita di qualche familiare. Aspettava con ansia che luglio passasse. I suoi
genitori sarebbero arrivati all’inizio di agosto dalla Svizzera. La ragazza,
sempre più nervosa, sapeva che ormai c’era davanti solo una settimana. Al
telefono la mamma di Bianca le disse che sarebbero arrivati nella tarda
mattinata del primo sabato d’agosto; purtroppo potevano stare solo un giorno,
dovevano ripartire già nella giornata di domenica. Il 2 agosto 1980 faceva un
caldo incredibile, non si respirava. Bianca aspettava trepidante, guardando la
tv, come al solito senza audio. Ma non occorreva il sonoro per capire che
qualcosa era successo. Una stazione devastata, immagini terribili. Bianca alzò
il volume. Un’edizione speciale del telegiornale portò in tutte le case
d’Italia la notizia che lo scoppio di una caldaia aveva distrutto la sala
d’aspetto della stazione di Bologna. L’esplosione aveva investito un treno in
sosta nel primo binario provocando una strage immane, con oltre ottantacinque
morti e duecento feriti.
Bianca si sentì coinvolta e incominciò a
tremare perché a quell’ora il treno dei suoi genitori era dato in arrivo alla
stazione di Bologna direttamente dalla Svizzera. Il treno doveva star fermo
quasi un’ora per la coincidenza, c’era tanto caldo, qualcuno poteva andare al buffet
della stazione per acquistare una bottiglia d’acqua. Bianca telefonò subito
ai suoi genitori in Svizzera, ma il telefono squillava a vuoto. Dieci, venti
volte, niente. Di sicuro erano partiti. Bianca s’era incollata alla televisione,
muta, senza respiro. Non le restava che aspettare il pomeriggio; per arrivare
da Bologna occorrevano quattro ore: insomma alle sedici o alle diciassette
avrebbe abbracciato i genitori.
Ma il campanello della comunità terapeutica
non suonò né alle diciassette né mai. Dopo varie telefonate a vuoto, Bianca
chiamò una famiglia italiana che abitava nello stesso condominio svizzero dei
genitori. I vicini confermarono la partenza dei suoi perché s’erano incontrati
qualche giorno prima in un supermarket e, chiacchierando, avevano saputo
del viaggio in Italia.
Bianca non poteva più aspettare, l’ansia era
ormai a livelli di guardia. Il dubbio che i genitori fossero sotto le macerie
l’agitava enormemente. Era come assalita da una forza enorme, doveva fare qualcosa.
Decise di partire per Bologna ed ecco che i soldi messi da parte e sempre ben
nascosti le sarebbero serviti per il viaggio. Aspettò l’alba, poi scappò dalla
comunità terapeutica, senza dire niente a nessuno, per prendere il primo treno
per Bologna e nella sua mente incominciò a balenare l’idea di non far più
ritorno in quella struttura. Durante il viaggio, il suo sguardo era incollato
al finestrino, non vedeva l’ora d’arrivare a Bologna, ma giunta in stazione
Bianca realizzò subito che quella non era la Bologna del ‘77. La gioiosa città
del Movimento non c’era più perché, ancora una volta, i fascisti avevano
provocato una strage. In treno la gente aveva parlato solo di questo, nello
scompartimento le persone erano dell’idea che solo una bomba avrebbe potuto
procurare tutti quei danni. Nessuno credeva alla caldaia, era il solito infame
depistaggio, spazzato via alla vista del cratere prodotto dalla bomba,
un’enorme buca provocata da ventitré chili di tritolo, T4 e
nitroglicerina. Depistaggi inutili, perché la bomba era di matrice fascista,
senza ombra di dubbio. (…)
Bianca si diresse immediatamente nella camera
mortuaria dell’ospedale Maggiore e
incominciò la triste opera di riconoscimento dei corpi: una donna senza
testa, uno senza gambe, i corpi sembravano manichini. (…) Fra quelle persone
non risultavano i genitori di Bianca, ma il calvario non era finito perché
c’erano da visitare ancora due ospedali. Il comune di Bologna aveva messo in
piedi un’organizzazione perfetta: oltre alle auto gratis, aveva consegnato a
ogni familiare un voucher per vitto e alloggio per una notte. Opera
meritoria, segno della civiltà di una splendida città.
Bianca visitò gli altri due ospedali e per
sua fortuna non trovò niente. Era il momento di fermarsi un attimo, decise di
mangiare qualcosa. Era stanca morta, avvilita; entrò in un bar, prese dei
gettoni telefonici e meccanicamente fece il numero telefonico dei suoi genitori
in Svizzera. Muto, ancora. Ma dopo otto, nove, dieci squilli, qualcuno rispose:
era la mamma. Bianca ammutolì e poi con le parole rotte dal pianto riuscì a
parlare con fatica: «Ciao mamma, sono Bianca».
«Cara Bianca, non siamo più partiti perché il papà è stato male».
«Non importa».
«Abbiamo saputo della strage alla stazione di Bologna. Quel treno poteva essere il nostro e poi sai che noi andiamo sempre nel bar della stazione per un caffè, prima di prendere la coincidenza. Quanti morti, quanta disperazione! Tuo papà ha pensato subito a te, ma non volevamo farti preoccupare…».
«Cara Bianca, non siamo più partiti perché il papà è stato male».
«Non importa».
«Abbiamo saputo della strage alla stazione di Bologna. Quel treno poteva essere il nostro e poi sai che noi andiamo sempre nel bar della stazione per un caffè, prima di prendere la coincidenza. Quanti morti, quanta disperazione! Tuo papà ha pensato subito a te, ma non volevamo farti preoccupare…».
Bianca salutò la mamma in fretta, i gettoni
erano finiti ma quelle poche parole erano servite a calmarla. Rinfrancata,
mangiò un panino e poi, a piedi, s’incamminò verso la stazione in un caldo
asfissiante. Durante il tragitto, si fermò per un attimo nei luoghi del ‘77.
Non aveva più ricordi, tutto cancellato. Era svuotata, inquieta, triste perché
era sola, ma Bologna, nonostante tutto, in quel momento appariva bella.
Finalmente arrivò in stazione, c’era un caos indescrivibile, macerie
dappertutto. Rimase affascinata da tante persone straordinarie, volti anonimi,
resi irriconoscibili dal sudore e dalla polvere, che lavoravano in un caldo
insopportabile per togliere le macerie, da ore senza sosta. Si fermò a guardare
l’orologio della stazione, impressionata dalle lancette ferme sulle 10,25,
l’ora della strage.
Per andare sui binari, la ragazza esibì al
servizio d’ordine della stazione il pass di cui erano stati dotati i
parenti delle vittime e dei dispersi; era curiosa di vedere i danni provocati
dalla bomba. C’era tanta gente con il volto rigato dal pianto, in silenzio. Una
donna anziana, con un fazzoletto nero in testa e una foto in mano, stava in
ginocchio davanti alle transenne, vicino al posto dove era morto suo figlio; il
ragazzo era stato riconosciuto con certezza dalla carta d’identità. Di colpo,
dalle transenne sbucarono degli uomini dall’andamento altezzoso che facevano
strada a un pezzo grosso, nascosto dietro occhiali scuri: qualcuno dei presenti
asseriva d’aver riconosciuto un ministro. La donna in nero continuava a implorare
con toni sommessi di poter accarezzare il corpo che era sotto a un telo bianco,
senza vita, sulla banchina di una stazione. «Ha bisogno di me. – diceva a un
addetto – È sporco, devo lavarlo; forse ha freddo, voglio portarlo via, a casa,
nella sua stanza. Un giorno, voglio tenerlo con me solo un giorno».
Nonostante il caos totale, non si sentiva
volare una mosca. I presenti erano di fronte a una scena così struggente da
non poter essere descritta con parole adeguate, senza cadere nella commozione e
nella pietà. Eppure il ministro, senza fermarsi neanche per dare un segno di
consolazione a una madre, con un gesto arrogante della mano intimò
perentoriamente di scansare quella donna che intralciava il suo passaggio. E
uno della scorta, con modi altrettanto bruschi, nonostante le proteste di
decine di persone, prese la signora per le braccia, da dietro, e la trascinò
via appoggiandola al muro.
Bianca assistette alla scena ammutolita, però
sentiva la rabbia salire, montare sempre di più. Il suo viso diventò prima
rosso poi quasi viola dall’ira. Con tutta la forza verbale che possedeva,
rivolse dure parole al corteo ministeriale: «Bastardi, come vi permettere di
offendere una donna che in un attimo ha perso il senso della vita! Come vi
permettete di oltraggiare una madre devastata dal dolore che chiede solo di
toccare il suo ragazzo che è lì, senza vita, a pochi metri!».
Bianca tirò fuori la sua indignazione con
coraggio, ma ebbe il torto di avvicinarsi pericolosamente al ministro,
iniziando un rischioso scontro fisico e innescando una rissa clamorosa tra la
scorta e molti cittadini, che avevano preso con decisione le difese della
ragazza. Bianca, immediatamente arrestata e portata in caserma, fu accusata di
vilipendio, oltraggio a corpo politico e resistenza a pubblico ufficiale. Reato
assolutamente di scarso rilievo, che poteva essere punito con una semplice
sanzione, ma qui si trattava di un diverbio violento tra un cittadino e un
ministro. In questo caso poteva finire male, come aveva subito detto un avvocato
presente alla scena.
Il processo a Bianca venne immediatamente
messo a ruolo e in poco tempo si giunse a sentenza. Il giudice, dopo una
perizia psichiatrica affrettata e assolutamente errata, decise di comminarle
una sanzione durissima, giudicandola “incapace di intendere e volere, ma
pericolosa socialmente” e disponendo il suo invio nell’inferno dell’ospedale
psichiatrico giudiziario.
Ma come è possibile distruggere la vita di
una persona per un episodio così banale? È possibile inviare in manicomio
criminale una donna perfettamente sana di mente per un fatto così modesto? Date
le circostanze altamente drammatiche, il diverbio tra Bianca e il politico non
doveva neanche essere preso in considerazione. Questa volta la giustizia non fu
tollerante con Bianca e la disposizione divenne immediatamente esecutiva.”
Il testo è liberamente disponibile citando la
fonte ©Infinito edizioni – 2016 – www.infinitoedizioni.it