Amnesty International ha diffuso immagini filmate e riprese dal satellite che
mostrano cimiteri improvvisati e tumuli in pieno deserto, nella “terra di nessuno”
tra Siria e Giordania dove decine di migliaia di rifugiati sono abbandonati da
tempo e, da due mesi, privi di aiuti umanitari.
Le testimonianze raccolte dall’organizzazione per i diritti umani nel terrapieno sabbioso conosciuto come il berm forniscono un quadro disperato di sofferenza umana e mettono in luce le tragiche conseguenze della mancata condivisione delle responsabilità per la crisi globale dei rifugiati. La prossima settimana, i leader del mondo si ritroveranno a New York per discutere di questo tema in due vertici ad alto livello.
“La situazione al berm è un’amara fotografia delle conseguenze della vergognosa mancanza di condivisione delle responsabilità per la crisi globale dei rifugiati, a seguito della quale molti paesi confinanti con la Siria hanno deciso di chiudere le loro frontiere ai rifugiati” – ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice per le risposte alle crisi di Amnesty International.
“È una fotografia disperata, quella delle persone intrappolate al berm: il cibo sta terminando e le malattie sono in aumento. Ci si ammala o addirittura si muore per cause prevenibili, semplicemente perché le autorità della Giordania impediscono l’ingresso nel paese e l’accesso agli aiuti, alle cure mediche e a un’adeguata assistenza umanitaria” – ha aggiunto Hassan.
I paesi confinanti con la Siria - tra cui la Giordania, che ospita 650.000 rifugiati - hanno accolto la stragrande parte delle persone in fuga dal conflitto, mettendo a dura prova le proprie risorse. Alla vigilia dei due vertici internazionali della prossima settimana, Amnesty International sta chiedendo ai leader mondiali di andare oltre la retorica e assumere impegni concreti per accogliere la loro giusta parte di rifugiati, riducendo così la pressione sui paesi che già ne ospitano ampi numeri. L’organizzazione per i diritti umani sta chiedendo inoltre alla Giordania di garantire l’ingresso immediato nel paese ai rifugiati che si trovano al berm.
Le testimonianze raccolte dall’organizzazione per i diritti umani nel terrapieno sabbioso conosciuto come il berm forniscono un quadro disperato di sofferenza umana e mettono in luce le tragiche conseguenze della mancata condivisione delle responsabilità per la crisi globale dei rifugiati. La prossima settimana, i leader del mondo si ritroveranno a New York per discutere di questo tema in due vertici ad alto livello.
“La situazione al berm è un’amara fotografia delle conseguenze della vergognosa mancanza di condivisione delle responsabilità per la crisi globale dei rifugiati, a seguito della quale molti paesi confinanti con la Siria hanno deciso di chiudere le loro frontiere ai rifugiati” – ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice per le risposte alle crisi di Amnesty International.
“È una fotografia disperata, quella delle persone intrappolate al berm: il cibo sta terminando e le malattie sono in aumento. Ci si ammala o addirittura si muore per cause prevenibili, semplicemente perché le autorità della Giordania impediscono l’ingresso nel paese e l’accesso agli aiuti, alle cure mediche e a un’adeguata assistenza umanitaria” – ha aggiunto Hassan.
I paesi confinanti con la Siria - tra cui la Giordania, che ospita 650.000 rifugiati - hanno accolto la stragrande parte delle persone in fuga dal conflitto, mettendo a dura prova le proprie risorse. Alla vigilia dei due vertici internazionali della prossima settimana, Amnesty International sta chiedendo ai leader mondiali di andare oltre la retorica e assumere impegni concreti per accogliere la loro giusta parte di rifugiati, riducendo così la pressione sui paesi che già ne ospitano ampi numeri. L’organizzazione per i diritti umani sta chiedendo inoltre alla Giordania di garantire l’ingresso immediato nel paese ai rifugiati che si trovano al berm.
Fame, malattie e morte
Dopo l’attentato che il 21 giugno aveva causato la morte di sette agenti della polizia di confine, la Giordania ha chiuso i valichi di frontiera di Rukban e Hadalat, bloccando completamente la già limitata fornitura di assistenza umanitaria alle persone intrappolate al berm.
Da allora è stata consentita una sola fornitura di cibo, all’inizio di agosto, alle oltre 75.000 persone che si trovano al berm. Le agenzie umanitarie, non potendo arrivare al berm, sono state costrette a lanciare gli aiuti oltre confine utilizzando gru da cantiere.
Abu Mohamed si trova al berm da cinque mesi e conferma che, dopo il 21 giugno, le cose sono peggiorate:
“La situazione umanitaria è pessima, soprattutto per i bambini. Abbiamo acqua da bere ma quasi niente cibo e latte. È terribile. Sono morte molte persone. In tutto un mese abbiamo ricevuto riso, lenticchie e un chilo di datteri secchi, nient’altro che questo. Il morale delle persone a Rukban è sotto lo zero”.
Le immagini girate a Rukban mostrano due cimiteri improvvisati, con decine di tumuli nei pressi delle tende dei rifugiati.
L’assenza di cure mediche adeguate e le drammatiche condizioni di vita al berm hanno conseguenze letali. La mancanza d’igiene, la situazione sanitaria e il limitato accesso all’acqua potabile hanno provocato numerosi casi di epatite, che si ritiene essere la principale causa di morte tra i bambini di Rukban.
Da giugno, secondo fonti umanitarie, vi sono stati almeno 10 decessi causati dall’epatite, nella maggior parte dei casi per itterizia.
Gli operatori umanitari hanno inoltre riferito della morte di almeno nove partorienti. Tra le persone cui viene impedito l’accesso alle cure mediche, sono molte le donne in gravidanza.
Il numero complessivo delle morti al berm è difficile da determinare a causa dell’impossibilità di accedere alla zona.
A Rukban, alla fine di agosto, un uomo di 20 anni sarebbe morto per un versamento intestinale conseguente all’itterizia. L’assenza di cure mediche ha impedito che si potesse salvargli la vita.
Al berm si registrano anche numerosi casi di infezioni respiratorie, disidratazione, leishmaniosi e diarrea.
Le immagini satellitari ottenute da Amnesty International mostrano che dall’ottobre 2015 la densità della popolazione nei pressi dei valichi di frontiera di Rukban e Hadalat è complessivamente aumentata in modo assai deciso, pur in presenza di una piccola diminuzione delle presenze ad Hadalat, tra giugno e luglio, a seguito del blocco degli aiuti umanitari e degli attacchi aerei della Russia nella zona.
A Rukbal il numero dei rifugi improvvisati è salito dai 368 dello scorso anno a 6563 a luglio e a oltre 8295 a settembre del 2016. Il recente aumento conferma che, negli ultimi mesi, migliaia di siriani hanno continuato a fuggire da crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani pressoché quotidiani.
Motivi di sicurezza e aumento delle restrizioni Le autorità giordane continuano a citare motivi di sicurezza per giustificare la chiusura della frontiera e il blocco delle operazioni umanitarie al berm. Il ministro degli Affari esteri Mohammed al-Momani ha detto ad Amnesty International che l’area attorno al berm “sta diventando un’enclave di Daesh”. Pur riconoscendo che la situazione umanitaria è difficile e dichiarando che il suo paese è pronto ad assumere la sua parte di responsabilità, il ministro al Momani ha sollecitato l’Onu e la comunità internazionale a fare altrettanto con equità.
“Senza dubbio, il tema della sicurezza è importante. Ma proteggere i cittadini giordani non dovrebbe essere fatto negando assistenza umanitaria e protezione a chi ne ha disperatamente bisogno” – ha commentato Hassan.
In precedenza, la Giordania aveva accolto i rifugiati provenienti dalla Siria attraverso rigorosi controlli e procedure di registrazione. Le autorità giordane potrebbero ripristinare queste modalità aprendo le porte ai rifugiati che fuggono dal conflitto siriano e, al contempo, garantendo la sicurezza.
Le Nazioni Unite stanno negoziando con le autorità giordane un piano che prevede l’apertura di centri di distribuzione degli aiuti umanitari a due chilometri di distanza dal confine: una sorta di zona cuscinetto nella “terra di nessuno”, che consentirebbe la ripresa della fornitura di aiuti.
“Che gli aiuti vengano distribuiti all’inizio del berm o due chilometri più all’interno, resta il fatto che decine di migliaia di persone in cerca di protezione internazionale si trovano alla porta di casa della Giordania e che ciò non può esonerare le autorità di questo paese dall’obbligo di fornire un riparo sicuro a chi fugge dalla guerra e dalla persecuzione” – ha proseguito Hassan.
“Spingere i rifugiati a tornare in Siria direttamente o indirettamente, rifiutando loro l’accesso o imponendo loro condizioni di vita intollerabili costituisce una flagrante violazione degli obblighi internazionali della Giordania. Il governo di Amman deve far sì che i rifugiati possano accedere agli aiuti umanitari senza alcun ostacolo” – ha aggiunto Hassan.
In ogni caso, una soluzione a lungo termine dev’essere globale. A livello internazionale, i posti messi a disposizione per il reinsediamento dei rifugiati siriani sono clamorosamente insufficienti. I paesi della regione continuano a subire il peso della crisi dei rifugiati, oltre quattro milioni dei quali si trovano in tre soli paesi.
“Senza un impegno reale ad aumentare i posti per il reinsediamento e un’azione concreta per attuarlo, i vertici della prossima settimana produrranno solo frasi di circostanza. Se non si troverà una soluzione a lungo termine per i rifugiati abbandonati al berm, il mondo non avrà fallito solo al confine siro-giordano ma avrà anche mancato di dare una soluzione alla crisi globale dei rifugiati” – ha concluso Hassan.