mercoledì 14 settembre 2016

Sport ed eutanasia, il coraggio e i sogni dell'indomabile Marieke Vervoort

 Avevano fatto scalpore, qualche settimana fa, le parole dell’atleta paralimpica belga Marieke Vervoort che sosteneva di voler ricevere l’eutanasia – legale in Belgio dal 2002 – dopo l’Olimpiade di Rio de Janeiro. Marieke, che ha 37 anni, soffre da quando ne aveva 15 per una gravissima malattia degenerativa che l’ha costretta in carrozzina e a sopportare continui interventi chirurgici e una costante diminuzione delle forze fisiche e della propria autonomia.
La Vervoot, nei giorni d’esordio dell’Olimpiade brasiliana, si raccontava alla stampa svelando di aver firmato, già dal 2008, tutta la documentazione necessaria per la sua eutanasia ma, come chiosa ora, “vedete? È il 2016 e ho vinto una medaglia”, l’argento nei 400 metri in carrozzina.
In un futuro, forse lontano, Marieke prenderà la sua decisione; ora, con la volontà più forte del suo corpo, sogna di provare il volo acrobatico e il paracadutismo, volare su un jet F16, aprire un museo, competere in una gara di rally e molto altro. Brava Marieke, figlia di un Paese più civile del nostro, almeno in materia di dibattito e di leggi sulla vita e sulla fine della vita.
Un tema delicato e complesso, quello dell’eutanasia, di cui ha parlato con affetto e forza l’antropologa belga Pat Patfoort nel libro dedicato alla madre dal titolo Mamma viene a morire da noi domenica (Infinito edizioni, 2016).