In
attesa dei risultati definitivi del contestato referendum svoltosi ieri nella
Repubblica serba di Bosnia (Rs), durante una festa svoltasi a Pale – capitale della
Rs durante la guerra d’aggressione alla Bosnia Erzegovina nel 1992-1995 – un
raggiante Milorad Dodik ha dichiarato davanti a un migliaio di cittadini
festanti sotto le bandiere, che “oggi abbiamo scritto una nuova pagina della
nostra gloriosa storia e abbiamo dimostrato d’essere un popolo che combatte per
le libertà e per i diritti della Repubblica. Sono orgoglioso del popolo della
Rs, orgoglioso di tutti coloro che hanno votato. Tutti i serbi che non sono
venuti a votare al referendum dovrebbero vergognarsi”. Nessuna vergogna provano
invece Dodik e gli altri estremisti per aver scelto come data fondativa della
loro Repubblica – che altro non è se non un’unità amministrativa in uno Stato
sovrano, ovvero la Bosnia Erzegovina – quel 9 gennaio 1992 che può essere
considerata la data d’inizio di una mattanza di esseri umani durata per quasi
quattro anni (per quanto, con molta approssimazione, lo scoppio della guerra
venga fatto risalire all’inizio di aprile del 1992, quando a Sarajevo si
registrarono le prime due vittime).
Al
momento è dato sapere che l’affluenza alle urne sarebbe stata intorno al 51%
degli aventi diritto e che il primo 30% circa di schede scrutinate avrebbe
visto affermarsi i “sì” al 99,8%. Il plebiscito desiderato, dunque, espresso da
una maggioranza di poco assoluta del popolo serbo-bosniaco, che non basterà probabilmente
a puntellare a lungo il trono del milionario Dodik, padre padrone della Rs al
momento abbandonato anche dalla Serbia e sostenuto nel suo sforzo distruttore
della Bosnia Erzegovina dalla sola Russia. Un plebiscito costato almeno 700.000
euro, che sono oro in un’Entità, la Rs, in cui buona parte della popolazione
non ha lavoro e vive in condizioni alloggiative e sanitarie quanto meno
complicate.
Intanto,
secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa serba Tanjug,il giudice bosniaco della Corte Europea per i Diritti Umani,
Faris Vehabovic, avrebbe dichiarato che dopo il referendum nella Rs l’Ufficio
del Procuratore nazionale a Sarajevo dovrà intraprendere un’azione legale
contro coloro che hanno violato la Costituzione convocando il referendum, che
la Corte costituzionale bosniaca aveva precedentemente dichiarato
incostituzionale. La speranza è che le schermaglie si fermino solo ed
esclusivamente alle iniziative legali e diplomatiche e che tutti lavorino per
ridurre la tensione, che si avverte oggi forte, e ancor più forte in luoghi
come Srebrenica.