In
occasione del ventunesimo anniversario degli Accordi di Dayton – raggiunti nell’Ohio
(Stati Uniti) il 21 novembre 1995 dopo tre settimane di trattative (1-21
novembre) e poi siglati il mese dopo a Parigi – durante un incontro pubblico l’Alto
rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, il
diplomatico austriaco Valentin Inzko, ha dichiarato che “ventuno anni dopo
Dayton ci sono ancora forze politiche all’interno del Paese che promuovono,
ogni giorno, un’interpretazione revisionista degli Accordi di Dayton, in
evidente contrasto con la Costituzione”, che è inclusa negli Accordi stessi. Inzko
ha ricordato il discusso referendum tenutosi nella Repubblica serba di Bosnia
(Rs) per fare del 9 gennaio la festa nazionale dell’Entità amministrativa nata
nel 1992 e fondata sulla pulizia etnica del 1992-1995, ha fatto un passaggio
interessante sulle polemiche ancora in atto dopo le elezioni amministrative di
ottobre (con un ricorso legato al risultato di Srebrenica ancora in corso) ma
ha in effetti concentrato la maggiore enfasi sulle forze revisioniste che
lavorano giorno dopo giorno per spaccare il Paese. Se il pensiero di molti è andato,
giustamente, all’atteggiamento arrogante e distruttivo del presidente della Rs
Milorad Dodik, non diverso nella realtà è quello, nella Federazione di Bosnia
Erzegovina (FBiH), del leader nazionalista musulmano Bakir Izetbegović, tra l’altro
presidente della presidenza tripartita e da pochi giorni ex presidente della
presidenza tripartita stessa. L’atteggiamento di Izetbegović e dei suoi
accoliti fa pensare che l’universo nazionalista musulmano bosniaco abbia oramai
sposato – grazie anche al sostegno turco – la dottrina di Izetbegović padre,
ossia quella della “tazzina di caffè”, una Bosnia musulmana a tutti i costi,
fosse anche solo grande, appunto, come una filđan. E intanto, sottotraccia, i
croato-bosniaci tramano e continuano a inseguire il loro sogno
tardo-ottocentesco di Grande Croazia, scambiandosi occhiolini col regine neo-ustaša
croato e con la benedizione di una parte delle alte gerarchie ecclesiastiche cattoliche bosniaco-erzegovesi.
Insomma,
per una volta Inzko e la comunità internazionale paiono aver visto bene e aver
capito. Bisogna ora vedere se qualcuno a Bruxelles e al Palazzo di vetro di New
York è davvero interessato al destino di questo disastrato Paese, o se le
giuste osservazioni di Inzko sono destinate a sparire nelle nebbie rarefatte
del Web…