mercoledì 16 luglio 2014

Srebrenica, 19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Ado Hasanović

Lo ammetto: per me è più facile girare un film su Srebrenica che non parlarne o raccontare come sono riuscito a sopravvivere. Le parole sono inutili, l’immagine qui accanto, che ho chiesto di pubblicare, dice molto di più, soprattutto quando si è in una foresta di lapidi bianche presso il centro memoriale di Potočari.

Bratunac-Srebrenica, 1992: granate, la fame, la sete, incendi, morti per strada, gente che urla, piange, corre urlando; disorientamento, impotenza, ricerca, esecuzione...
Avevo sei anni, siamo fuggiti da casa nostra per salvarci. A un certo punto, mentre eravamo nascosti in un bosco, sul lato opposto odiamo una grande esplosione. Papà dice: “Era la nostra macchina, l’esplosione veniva da dove l’avevo nascosto”. Guardare quel fuoco a distanza mi ha reso molto triste: in macchina era rimasto il mio giocattolo preferito. Come può un bambino di sei anni descrivere il suo dolore per aver perso una parte così importante della propria vita, della propria infanzia?

Srebrenica,1993: non so come, ma è passato molto tempo; non so dove abbiamo dormito tutti, non so che cosa abbiamo mangiato, non so come siamo sopravvissuti, perché non c’era cibo. Improvvisamente ci siamo trovati su un camion delle Nazioni Unite. Era l'ultimo convoglio dell’Onu che ha portato cibo a Srebrenica. Mia madre si teneva stretta alle sponde del camion, mia sorella maggiore, fratello minore e io, terrorizzati, stavamo aggrappati a lei. In quel momento, migliaia di persone stavano cercando di salire sui camion, per sopravvivere ed essere salvate.
Dopo che nostro padre ci aveva letteralmente “buttati” sul camion, se ne stava da solo in mezzo alla strada, nonostante avesse migliaia di persone attorno, ma vedevo come si sentisse solo senza di noi. Guardava verso il camion su cui ci aveva messi… aveva in faccia un sorriso serio, triste… ci salutava con la mano e noi, che lo stavamo lasciando, lo salutavamo con le nostre…

Passando attraverso Bratunac e Drinjača, siamo stati letteralmente lapidati. Immaginate un sacco di camion, senza teloni di protezione, e un gruppo di donne e bambini serbi che ci lanciano contro pietre. I nazionalisti avevano portato a termine, in quel preciso momento, la loro missione.

Ho perso più di trenta membri della famiglia ... il corpo di mio nonno, ucciso nel 1995, non l’abbiamo ancora ritrovato.

A Srebrenica c’è vita, ci sono acque curative meravigliose, c’è uno splendido scenario e ci sono molte persone simpatiche a cui non importa cos’hanno perso ma sono pronte a condividere tutto con voi. È una città in cui vivono i coraggiosi, le persone che vogliono bene alla città. Il fatto è che Srebrenica ha perso il suo lustro, e le sue ali sono rotte e avrà bisogno di molto tempo per recuperare. Ma vuole recuperare memoria. Conoscenza di ciò che è stato.

Il mio cortometraggio Angel of Srebrenica è testimone dei miei legami emotivi con la mia città natale, che ha subìto un genocidio durante la guerra del 1992-1995. Il mio desiderio è che, attraverso le arti, tutti possiamo contribuire allo sviluppo di Srebrenica e della Bosnia Erzegovina.
Secondo Robert Golden, regista e sceneggiatore inglese, Angel of Srebrenica rappresenta un lucido gioiello artistico. Quando accade una tragedia troppo grande per la sensibilità umana, facciamone metafora poetica e attraverso l’arte proviamo a spiegare e a capire che cosa un essere umano può essere capace di fare a un altro.

Non ho mai distinto le persone per il loro modo di vestire o per il loro status. Per me, la differenza la fanno il comportamento degli esseri umani, le loro azioni. Questo cerco di spiegare nei miei film, fin dal primo, I’m from Srebrenica. Spero che il mio cinema possa aiutarmi sempre a raccontare questo e a spiegare al mondo che senza dialogo e comprensione reciproche non andremo mai da nessun a parte.


Ado Hasanović,
regista nato a Srebrenica e sopravvissuto all’assedio