sabato 5 luglio 2014

Srebrenica, 19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Giacomo Scattolini

Le immagini della caduta di Srebrenica, in quel luglio 1995, le ho ancora davanti. Nitide. Chiare. Come se fosse un fatto recente, di qualche settimana fa. I miliziani che la facevano da padrone, le colonne di profughi che arrivavano a Tuzla in fuga da Srebrenica. La quasi totale assenza di uomini lasciava presagire il peggio. Ricordo la donna che a pochi chilometri da Tuzla, dalla salvezza, decise di farla finita appendendosi ad un albero con una corda. Capii che la guerra era alla fine. Srebrenica era stata “svenduta” sull'altare della real-politik. Nella pace prossima ventura che si andava a firmare non c'era spazio per Srebrenica e Zepa. Peccato che Srebrenica fosse abitata da persone, esseri umani. Tutti facemmo finta di non vedere. Tutti. Il governo di Sarajevo non vide, lo stesso il governo di Belgrado e quello fantoccio di Pale, l'Onu non vide, le cancellerie della cosiddetta “Comunità Internazionale” e, forse, anche noi facemmo finta di non vedere che la “normalizzazione del territorio”, come la definì Bill Clinton, sarebbe passata per il più grande massacro in Europa dalla seconda guerra mondiale. Non vedemmo neanche un altro più grande massacro, quello del Rwanda, dove furono uccise quasi un milione di persone nell'indifferenza totale di tutti. Quindi come potevamo accorgerci di ottomila persone trucidate nel cuore dell'Europa a pochi passi da noi? Sono passati 19 anni da quei massacri. Oramai è lavoro per storici, non per me che mi sono occupato in quegli anni di portare aiuti umanitari o di informazione o di entrambe le cose, come spesso mi era capitato di fare. Non ho mai nominato in questo pezzo chi erano le “etnie” in guerra. Termine fra l'altro abusato ed errato per classificare quella guerra, ma ho parlato di persone che sono state vittime di altre persone. Non era una guerra etnica ma nazionalista! Dovremmo imparare a capire che il nazionalismo è il vero nemico da battere. Fino a quando divideremo le persone su base “nazionale” e si continuerà a pensare che il sangue che scorre nelle mie vene è “superiore” a quello che scorre nelle vene del mio vicino e che il mio dolore è più forte del tuo dolore, Srebrenica non sarà servita a nessuno e non servirà, purtroppo, neanche ricordarla.

Giacomo Scattolini
Fotografo e scrittore