Il 5
aprile 1992 era una domenica, V di Quaresima. Due settimane dopo sarebbe stata
Pasqua. Il giorno dopo, 6 aprile, lunedì, sarebbe formalmente scoppiata la
guerra in Bosnia Erzegovina. Quella mattina nessuno – per la verità, quasi
nessuno… – poteva saperlo.
È inevitabile
che i media italiani parlino di
Sarajevo per raccontare lo scoppio della guerra. Inevitabile e scontato. Io
voglio parlarvi del posto in cui la guerra è veramente scoppiata. La Valle
della Drina. Višegrad. Perché è lì, proprio lì, che tutto è cominciato e tutto
è finito. E tutto va avanti ancora oggi, come un treno che procede alla massima
velocità su sottili binari e con i freni rotti.
Questo,
venticinque anni fa, era l’ultimo fine settimana sereno, spensierato, per la
popolazione bosniaco erzegovese. Non per tutti, però. Pensate ai due cugini Lukić,
Milan e Sredoje. Per loro questo era l’ultimo fine settimana di formazione.
Lavoravano per affinare le tecniche, per essere definitivi e impeccabili appena
ci fosse stato da entrare in azione. Sredoje, Milan, Niko Vujičić e altri da
mesi nei fine settimana si recavano a Sarajevo, alla caserma dell’esercito
jugoslavo Viktor Bubanj, trasformata
nel 1992, sotto il controllo serbo-bosniaco, in luogo di detenzione, tortura e violenze
innominabili nella capitale. Bubanj (1918-1972), per la cronaca, era stato uno
dei generali di Tito durante le guerra di liberazione e fin dal 1939 era
entrato a far parte del Partito comunista jugoslavo, attivo nella cellula
croata di Crikvenica, località un’ottantina di chilometri a sud di Rijeka (o
Fiume).
“Dissero
– mi ha raccontato qualche mese fa Bakira Hašečić, testimone oculare – d’essersi
recati nella caserma intitolata a Bubanj ogni settimana in gruppo, una ventina,
per ricevere l’addestramento. Lì imparavano come sgozzare musulmani e croati.
Durante l’addestramento il ruolo delle vittime veniva ricoperto da pupazzi e da
maiali. Quando Čamil Ramić – un poliziotto che li stava interrogando dopo
averli momentaneamente catturati nei momenti in cui scoppiò l’inferno a Višegrad
, N.d.a. – ha chiesto loro come avessero fatto a prendere le giornate di lavoro
per recarsi ad addestrarsi a Sarajevo, risposero che risolvevano il problema
mettendosi in malattia o prendendo le ferie, magari per andare a sciare. Tutto
questo era organizzato direttamente dal Partito democratico serbo”.
Tutto
è cominciato a Višegrad, come racconto nel mio nuovo libro: VIŠEGRAD. L’ODIO, LA MORTE, L’OBLIO.
Qui si sono svolte le prove generali di tutta la guerra e di quel che sarebbe poi
accaduto a Srebrenica, più di tre anni dopo. La pulizia etnica, lo stupro
etnico su vasta scala, la deportazione, il genocidio, l’accanimento sulla
popolazione civile, il furto di qualsiasi bene, l’urbicidio… tutto comincia a Višegrad.
Quando leggerete sui nostri media di
Sarajevo, dunque, ricordatevi che sotto, che prima, c’è stato molto di più.
Ricordatevi di Višegrad.