Piuttosto in sordina, domenica 8 giugno si sono svolte le elezioni
politiche in Kosovo, le prime dopo l’accordo Pristina-Belgrado del 19 aprile
2013 (con la mediazione dell’Unione europea).
Il Partito democratico del Kosovo (PdK) del primo ministro Hashom
Tachi ha ottenuto la maggioranza relativa con il 30,6 per cento dei voti;
seconda la Lega democratica del Kosovo (Ldk) del capo dell’opposizione Isa
Mustafa, con il 25,7 per cento dei voti; terza è Autodeterminazione, movimento
ultranazionalista anti-serbo guidato da Albin Kurti, che ha conseguito il 13,5
per cento; a seguire l’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) di Ramush
Haradinaj, con il 9,6 per cento. Quindi altre formazioni minori, delle quali
solo Iniziativa per il Kosovo di Fatmir Limaj ha superato il 5 per cento,
soglia di sbarramento per aspirare a un seggio in parlamento. Sotto questa
soglia è rimasta anche la lista Srpska, ovvero Serbia, movimento di riferimento
della minoranza serba in Kosovo, che ha conseguito un incoraggiante 4,2 per
cento. Incoraggiante perché per la prima volta dalla nascita del Kosovo
indipendente, nel febbraio 2008, un numero consistente di cittadini ascrivibili
alla minoranza serba kosovara s’è recato alle urne, prima disertate in massa.
Questo è senz’altro un buon segnale per il futuro, legato agli accordi del 2013.
Meno buono, a un’analisi più approfondita, è il segnale complessivo uscito
dalle urne. Tachi, ex capo dei guerriglieri kosovari dell’Uck, sostenuto dagli
Stati Uniti, non nasconde ambizioni europeiste per il Kosovo ma, ammesso che le
sue intenzioni siano sincere, non ha al momento i numeri per governare non
potendo contare sulla maggioranza dei 120 membri del parlamento kosovaro (dieci
dei quali devono essere per legge riservati alla minoranza serba in Kosovo).
Quello che sembra al momento certo è che pare prospettarsi per il
Kosovo un governo di larghe intese, per garantire governabilità. Il che è
sinonimo, spesso, di governo scarsamente produttivo. Soprattutto se, dopo il
voto, stanno per ripresentarsi gli stessi identici problemi che hanno provocato
lo scioglimento anticipato del parlamento, ovvero la mancata costituzione di un
tribunale speciale per i crimini commessi dall’Uck ai danni della minoranza
serba kosovara e la mancata creazione di un esercito regolare kosovaro che
rompa il monopolio privato della forza fin qui detenuto dagli ex guerriglieri
dell’Uck. In tutto questo, il problema principale è dato dal fatto che Thaci
dell’Uck è stato leader, dunque
assecondando le due necessità di cui sopra andrebbe chiaramente a interferire
con i suoi diretti interessi e con quelli del gruppo di potere che rappresenta.
Per questa ragione, l’impressione è che si creerà una maggioranza d’interesse,
poco solida, legata al mantenimento degli scopi di parte e non a quelli del
Paese. I principali dei quali, oltre a quelli sopra esposti, sono la
disoccupazione e il relativo malcontento sociale, l’arretratezza strutturale,
la corruzione, la persistente presenza di gruppi di potere formatisi durante la
guerra dell’Uck contro la Serbia e mai in realtà dissoltisi. La dimostrazione palese
del grande malcontento popolare deriva dal dato nudo e crudo dell’affluenza
alle urne: appena il 41,5 per cento degli aventi diritto si è recato a votare.
Un risultato persino peggiore del già pessimo 46 per cento delle precedenti
consultazioni politiche, svoltesi nel 2010. Qui va segnalata la significativa
controtendenza della minoranza serba, con circa 53.000 elettori che si sono
recati alle urne su un totale di circa 120.000 aventi diritto.