martedì 10 giugno 2014

Kosovo, il Pdk di Thaci vince le elezioni ma senza numeri per governare


Piuttosto in sordina, domenica 8 giugno si sono svolte le elezioni politiche in Kosovo, le prime dopo l’accordo Pristina-Belgrado del 19 aprile 2013 (con la mediazione dell’Unione europea).
Il Partito democratico del Kosovo (PdK) del primo ministro Hashom Tachi ha ottenuto la maggioranza relativa con il 30,6 per cento dei voti; seconda la Lega democratica del Kosovo (Ldk) del capo dell’opposizione Isa Mustafa, con il 25,7 per cento dei voti; terza è Autodeterminazione, movimento ultranazionalista anti-serbo guidato da Albin Kurti, che ha conseguito il 13,5 per cento; a seguire l’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) di Ramush Haradinaj, con il 9,6 per cento. Quindi altre formazioni minori, delle quali solo Iniziativa per il Kosovo di Fatmir Limaj ha superato il 5 per cento, soglia di sbarramento per aspirare a un seggio in parlamento. Sotto questa soglia è rimasta anche la lista Srpska, ovvero Serbia, movimento di riferimento della minoranza serba in Kosovo, che ha conseguito un incoraggiante 4,2 per cento. Incoraggiante perché per la prima volta dalla nascita del Kosovo indipendente, nel febbraio 2008, un numero consistente di cittadini ascrivibili alla minoranza serba kosovara s’è recato alle urne, prima disertate in massa. Questo è senz’altro un buon segnale per il futuro, legato agli accordi del 2013. Meno buono, a un’analisi più approfondita, è il segnale complessivo uscito dalle urne. Tachi, ex capo dei guerriglieri kosovari dell’Uck, sostenuto dagli Stati Uniti, non nasconde ambizioni europeiste per il Kosovo ma, ammesso che le sue intenzioni siano sincere, non ha al momento i numeri per governare non potendo contare sulla maggioranza dei 120 membri del parlamento kosovaro (dieci dei quali devono essere per legge riservati alla minoranza serba in Kosovo).
Quello che sembra al momento certo è che pare prospettarsi per il Kosovo un governo di larghe intese, per garantire governabilità. Il che è sinonimo, spesso, di governo scarsamente produttivo. Soprattutto se, dopo il voto, stanno per ripresentarsi gli stessi identici problemi che hanno provocato lo scioglimento anticipato del parlamento, ovvero la mancata costituzione di un tribunale speciale per i crimini commessi dall’Uck ai danni della minoranza serba kosovara e la mancata creazione di un esercito regolare kosovaro che rompa il monopolio privato della forza fin qui detenuto dagli ex guerriglieri dell’Uck. In tutto questo, il problema principale è dato dal fatto che Thaci dell’Uck è stato leader, dunque assecondando le due necessità di cui sopra andrebbe chiaramente a interferire con i suoi diretti interessi e con quelli del gruppo di potere che rappresenta. Per questa ragione, l’impressione è che si creerà una maggioranza d’interesse, poco solida, legata al mantenimento degli scopi di parte e non a quelli del Paese. I principali dei quali, oltre a quelli sopra esposti, sono la disoccupazione e il relativo malcontento sociale, l’arretratezza strutturale, la corruzione, la persistente presenza di gruppi di potere formatisi durante la guerra dell’Uck contro la Serbia e mai in realtà dissoltisi. La dimostrazione palese del grande malcontento popolare deriva dal dato nudo e crudo dell’affluenza alle urne: appena il 41,5 per cento degli aventi diritto si è recato a votare. Un risultato persino peggiore del già pessimo 46 per cento delle precedenti consultazioni politiche, svoltesi nel 2010. Qui va segnalata la significativa controtendenza della minoranza serba, con circa 53.000 elettori che si sono recati alle urne su un totale di circa 120.000 aventi diritto.