Concludiamo i nostri
ricordi e pensieri su Srebrenica con Pierfrancesco Curzi, autore di In Bosnia. Viaggio
sui resti della guerra, della pace e della vergogna
Nell'abitato di Potočari, a due passi dalla
fabbrica della morte e dalla spianata del pianto, in mezzo ad alcune case
ridotte a ruderi, c'è un campo di calcetto. Spesso è occupato da bambini e
ragazzini di varie età, impegnati a superarsi col pallone. Indossano maglie di
squadre di calcio importanti, anche di italica origine. Di fronte, un piccolo
negozio di alimentari e la fermata dell'autobus della linea che collega
Srebrenica a Bratunac. La strada sale dolce verso la città termale, lascio l'auto
a Potočari e, a piedi, raggiungo Srebrenica. Con calma, il tempo dalla mia
parte. La pianura si fa campagna e di nuovo città, attraverso uno scenario
noto. Reciproci saluti, l'offerta di un čaj
o di un bicchiere d'acqua, l’ostacolo della lingua è solo parziale. L'ingresso
a Srebrenica, il distributore sulla destra, quindi i primi palazzi, la stazione
degli autobus, le baracche dei profughi ed ecco gli edifici restaurati di
recente. Uno, di fianco alla sede del Comune, è diventato un hotel; quello di fronte
fungeva da linea di mezzeria della strada, oggi ospita negozi, caffè e
ristoranti. Salgo fino alla piazza principale, eccolo il caffè all'aperto,
ricavato dentro un container, ricordo
dei giorni dell'inferno. Sempre a piedi imbocco la stradina al suo fianco
salendo ancora verso l'hotel Domavia,
quanto meno i resti abbandonati dove vivono ancora dei poveri cristi. A monte,
infine, dove la strada va a morire, la sede delle mitiche terme Guber. Nelle giornate di sole, è curioso
farsi ombra grazie alla torre del minareto o al campanile della chiesa, un
centinaio di metri l’una dall’altro. Simbologia stravolta di una convivenza
perduta. Sta imbrunendo, decido di rientrare a Potočari. Appena fuori dal
centro ecco la scuola con i campetti da basket, gli stessi dove, durante la
guerra d’aggressione alla Bosnia e ai bosniaci, sono cadute le granate serbe,
facendo strage di innocenti. Le nuove generazioni si divertono senza avere idea
di cosa è accaduto lì vent'anni prima. È un piacere ascoltare le voci dei bambini
al gioco, chiudere gli occhi e immaginarsi l’inferno di allora. Posso solo
immaginare. E mentre, all'imbrunire, riprendo il cammino verso Potočari,
stavolta in favorevole discesa, con fatica cerco di bloccare l'incedere di una
lacrima. Sconfitta annunciata.