È cominciata
oggi, il 13 aprile di esattamente venticinque anni fa, l’occupazione militare di Višegrad – la città mirabilmente narrata da Ivo Andrić
ne Il ponte sulla Drina – da parte
dell’Esercito popolare jugoslavo (Jna).
Le prime cannonate sono cadute su Višegrad e sui villaggi circostanti il 6 aprile. I colpi di cannone
sono destinati alle case della maggioranza musulmano-bosniaca. Contestualmente,
al confine tra Serbia e Bosnia Erzegovina vanno ammassandosi i soldati della
Jna del Corpo di Ušice. La maggior parte dei musulmani-bosniaci cerca di
sfuggire ai bombardamenti lasciando come può la città e i villaggi circostanti.
Un gruppo di musulmani-bosniaci reagisce all’aggressione militare delle unità della
Jna prendendo in ostaggio alcuni serbo-bosniaci e occupando la centrale
idroelettrica e la diga. Minaccia di far saltare in aria l’enorme muro di
cemento armato che ferma la corsa di milioni di litri d’acqua dolce. Le
conseguenze sarebbero gravissime, perché una massa d’acqua incontrollabile e
dalla spaventosa forza bruta si riverserebbe su tutta quella regione della
Bosnia e dilagherebbe poi in Serbia, spazzando via tutto, con perdite
economiche e di vite umane enormi. A capo della banda di cittadini musulmani di
Višegrad c’è Murat Šabanović. I media
sono attratti dalla notizia come orsi dal miele. Comincia una drammatica
contrattazione in diretta televisiva, mentre sia Višegrad sia le cittadine e i
villaggi nei dintorni si vanno svuotando ulteriormente per paura che
l’impossibile – la deflagrazione della diga – possa d’incanto rivelarsi
possibile. L’iniziativa di Šabanović e dei suoi ha l’effetto di fermare le
cannonate e di congelare lungo il confine la presenza del Corpo di Ušice.
Per
quasi una settimana la regione vive come sospesa in una situazione di stallo,
finché il 12 aprile Šabanović e i
suoi cedono, rivelando il bluff. Le
forze armate jugoslave riprendono il controllo della diga e della centrale
idroelettrica; il Corpo di Ušice, il giorno dopo, 13 aprile, un lunedì, entra in Bosnia e lancia l’attacco contro una
Višegrad ormai largamente spopolata. Vi sono scontri a fuoco tra i militari
jugoslavi arrivati dalla Serbia e sacche di resistenza musulmana in città, ma
le perdite di vite umane sono minime e ben presto il Corpo di Ušice prende il
controllo dell’intero territorio, sistemando in tutti i punti strategici carri
armati e artiglieria pesante con i quali tenere in scacco la città e i villaggi
intorno. Vengono effettuati arresti. Alcuni musulmani-bosniaci vengono
maltrattati, altri picchiati, la maggior parte interrogati e poi rilasciati.
Attraverso la radio e la televisione, esercitando pressioni su alcuni
personaggi stimati dai bosniaci-musulmani di Višegrad, la Jna convince la
maggior parte dei musulmani che avevano in precedenza lasciato la città a farvi
ritorno. In gioco ci sono le proprie case, i beni, i ricordi. E, ancor di più,
i posti di lavoro: la minaccia è che coloro i quali non si presenteranno in
ufficio o in fabbrica saranno licenziati. Dopo dieci duri anni di crisi economica,
questo è un pericolo per molti insostenibile. Nessuno pensa, in quel momento,
che in ballo possa esserci ben di più. La vita. Alla fine di aprile, così, la
maggior parte dei bosniaci-musulmani ha vinto ogni residua resistenza ed è
tornata in città. Si parla di circa 13.000 persone rientrate in quei giorni.
I
moderati sembrano avere ragione. La situazione va stabilizzandosi sempre di
più, la calma pare essere tornata e la gente è rientrata al lavoro, seppur
trovando un’atmosfera pesante, profondamente diversa dal passato. I
serbo-bosniaci fanno gruppo a sé, i musulmani-bosniaci sono oggetto di
segregazione e di pressioni, ma non vi sono rilevanti episodi di violenza, se
si escluda quella psicologica di chi si sente isolato nonostante sia
maggioranza.
Il
19 maggio 1992 il Corpo di Ušice viene richiamato oltre confine. Il lavoro che
era stato chiamato a svolgere era completato. Ma nessuno, almeno tra i
musulmani locali, poteva aspettarsi l’epilogo che racconto o giorno per giorno nel
mio nuovo libro VIŠEGRAD. L’ODIO, LA MORTE, L’OBLIO e che renderà
questa cittadina della Bosnia orientale il primo luogo in cui ha trovato
applicazione sul campo la pulizia etnica teorizzata dagli estremisti serbi e
serbo-bosniaci.
VIŠEGRAD. L’ODIO, LA MORTE, L’OBLIO è un reportage scritto
sul campo che racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti
e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che
sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri
luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.