Si tratta dell'ennesima provocazione contro la minoranza musulmano-bosniaca locale e di una nuova strumentalizzazione della religione con l'obiettivo – dietro la scusa formale di ricordare i “volontari russi” che si sono “immolati” per la “difesa” della città – di mettere un ulteriore tassello nel lavoro di pulizia etnica avviato con la strage di almeno tremila civili musulmano-bosniaci tra il maggio 1992 e l'ottobre 1994.
Esisteva già, tra l'altro, nel locale cimitero ortodosso, una lapide commemorativa dei 37 paramilitari russi arrivati a Višegrad in quegli anni per saccheggiare e per ammazzare civili musulmano-bosniaci in nome della Grande Serbia e pare assurdo che si impegnino risorse ingenti per realizzare un manufatto atto a dividere invece che investire quegli stessi soldi per creare lavoro – e quindi unire – in un territorio in cui il tasso di disoccupazione non solo è a due cifre, ma è piuttosto vicino al 50 per cento della popolazione attiva.
Prima dell'aprile del 1992 a Višegrad vivevano circa 22.000 persone, il 68 per cento delle quali appartenenti al gruppo musulmano-bosniaco. Oggi vivono nella cittadina circa 11.000 persone, delle quali poche centinaia appartenenti al gruppo musulmano-bosniaco. La pulizia etnica, dunque, è perfettamente riuscita...
Tutte queste e altre storie racconto nel mio nuovo libro VIŠEGRAD. L’ODIO, LA MORTE, L’OBLIO (Infinito edizioni, marzo 2017).
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