Simboli
religiosi, nazionali o d’altro genere non devono essere usati per alzare il
livello di tensione tra i gruppi che costituiscono il mosaico
bosniaco-erzegovese. Questa breve nota è stata diffusa dall’Ufficio dell’Alto
rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina a proposito
della croce alta cinque metri e mezzo e pesante 400 chili alzata a Višegrad lo
scorso 6 aprile e inaugurata il successivo 12 aprile alla presenza del fior
fiore dell’ultranazionalismo serbo e serbo-bosniaco.
A
volere la costruzione della croce – sostenuta a pieno titolo dall’amministrazione
locale – sono stati le organizzazioni dei reduci della zona, il cui intento era
quello di approfittare del venticinquesimo anniversario dell’aggressione
serbo-bosniaca contro la neo-nata Bosnia Erzegovina per celebrare i sette
paramilitari russi (su 37 complessivi defunti nel conflitto) morti in città durante
le operazioni di pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci. Nella guerra
del 1992-1995 sono stati almeno 700 i “volontari” paramilitari russi che hanno
combattuto a fianco dei loro simili serbi e greci per portare a termine la
pulizia etnica ai danni di tutti i non-serbi. Alcune stime parlano però di un
numero di russi ben maggiore.
Sempre
a proposito della contestata croce eretta a Višegrad, si è espresso anche il
noto giornalista bosniaco Aziz Tafro, che ha parlato apertamente di “provocazione”.
Tafro ha ricordato che i 700 volontari russi erano arruolati in tre unità e
hanno combattuto soprattutto nel territorio della Bosnia orientale, oltre che a
Sarajevo. Tafro ha infine voluto ricordare che alcuni dei paramilitari russi
che hanno combattuto in Bosnia sono al momento ancora attivi sia nel conflitto
ucraino che nei Balcani, alla testa di unità specializzate nel fare il lavoro
sporco sul campo. Alcuni di loro, infine, potrebbero anche essere andati a
combattere in Siria.