Il 6
aprile è una data con una forte connotazione simbolica per la Jugoslavia, la
Bosnia Erzegovina e la sua capitale Sarajevo. Ripercorriamo questa data in
oltre settant’anni di storia con l’aiuto del lavoro di Bruno Maran e del suo
prezioso libro dal titolo “Dalla Jugoslavia alle Repubbliche
indipendenti”
Il 6
aprile 1941 le forze dell’Asse, senza
alcuna dichiarazione di guerra, attaccano il Regno di Jugoslavia. È
l’operazione Castigo che si
caratterizza per un pesante bombardamento di Belgrado.
Quattro anni più tardi, il 6 aprile 1945, è invece un giorno di festa perché segna la liberazione
di Sarajevo da parte dei partigiani titini, senza l’intervento delle forze
armate di altri Paesi.
Il 6 aprile 1992 inizia il lunghissimo assedio di Sarajevo, durato
circa 1.400 giorni, e sempre in quella data comincia la guerra in Bosnia
Erzegovina, terminata solo nel novembre del 1995 con la firma degli Accordi di
Dayton (ma in realtà l’assedio sarà tolto solo alla fine di febbraio del 1996).
Ancora il 6 aprile 1992,
la Jna, l’Esercito popolare jugoslavo, a tradimento bombarda Višegrad, nella Bosnia orientale, e i suoi
abitanti scappano; qualche giorno più tardi, credendo alle garanzie di
sicurezza promesse dai militari, torneranno in 13.000, gran parte dei quali
musulmani-bosniaci.
Sempre il 6 aprile 1992,
la Comunità europea
riconosce la BiH come Stato indipendente entro i confini assegnanti dalla
Repubblica federale jugoslava. Gli Stati Uniti riconoscono Slovenia, Croazia e
Bosnia Erzegovina, mentre la Croazia, riconoscendo la BiH, offre ai
croato-bosniaci la doppia cittadinanza.
Il 6 aprile 2012, infine, 11.541 sedie rosse colorano Maršala Tita ulica.
Ognuna delle sedie messe in fila dalla moschea di Ali-Pascià fino alla Fiamma
eterna rappresenta una vittima dell’assedio. L’impatto visivo è impressionante,
il fiume di sedie rosse ha un forte potere evocativo; 643 sedie più piccole
sono per ricordare i bambini uccisi. Sulle seggioline sono appoggiati fiori,
disegni, palloncini, giocattoli, nell’aria una domanda forte: “Perché?”.