Venerdì
26 maggio ricorre il sesto anniversario dell’arresto di Ratko Mladić, generale e capo di stato maggiore dell’esercito
dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia (Rs) durante la guerra del
1992-1995. Mladić era stato fermato dopo 16 anni di latitanza nel
villaggio di Lazarevo, nel nord della Serbia e, nonostante fosse ricercato dal
Tribunale per i crimini di guerra nell'ex-Jugoslavia (Tpi) con le accuse di genocidio, crimini contro l'umanità, violazione
delle leggi di guerra durante l'assedio di Sarajevo e per il genocidio di Srebrenica, godeva della
protezione e persino della pensione militare da parte dello Stato serbo.
Il processo di primo grado presso il Tpi è
ancora in corso e si attende la sentenza entro la fine di quest’anno. Le ultime
notizie riferiscono che i legali di Mladić hanno presentato un ricorso contro il rifiuto opposto dai giudici del Tpi alla richiesta
di rilasciare temporaneamente l'ex generale serbo-bosniaco per consentirgli di
andare a curarsi in Russia. I giudici avevano motivato la loro decisione con il
fatto che, nonostante le garanzie e le assicurazioni delle autorità di Mosca,
non vi sia certezza sul ritorno di Mladić.
Inoltre, avevano argomentato, l'ex generale può contare su cure adeguate nel
carcere del Tpi a Scheveningen, dove è detenuto.
Sul tema segnalo, tra i miei tanti libri, in particolare Srebrenica. I giorni della vergogna e Srebrenica. La giustizia negata (quest'ultimo scritto a quattro mani con Riccardo Noury).