Višegrad,
Bosnia
orientale, primavera del 1992. Dopo alcune settimane di bombardamenti da parte
dell’esercito regolare jugoslavo, ritiratosi il 19 maggio, la città viene
sottoposta al controllo di un gruppo paramilitare guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić, che inaugurano
un regime del terrore e dell’orrore.
Il 26 maggio del 1992 gli
amministratori serbo-bosniaci di Višegrad organizzano un convoglio per
deportare i loro concittadini musulmani in Macedonia. Nei pressi di Bosanska
Jagodina, diciassette uomini vengono fatti scendere e massacrati davanti a
tutti gli altri. I loro resti, sepolti in una fossa comune, tornano alla luce
solo nel 2006. Si suppone che l’eccidio sia stato realizzato dal gruppo
paramilitare delle Aquile bianche, il cui referente principale era Milan
Lukić e la cui esistenza era ben nota all’esercito regolare.
In pochi mesi la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci
– che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a
termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni, omicidi di massa e
persino attraverso la combustione, in almeno due casi, di decine di civili
all’interno di case private. Circa tremila
persone vengono uccise e fatte
scomparire.
Lo stupro etnico ai danni di donne, bambini
e uomini diviene pratica comune.
Il fiume Drina, mirabilmente cantato dal
premio Nobel per la letteratura Ivo Andrić, diviene la più grande fossa comune
di quella guerra.
Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio reportage scritto sul campo dal
giornalista Luca Leone racconta le vicende,
raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto
sull’episodio che ha rappresentato la prova
generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri
luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
“Venticinque
anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel
negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per
mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo
Noury)
“Luca
Leone questa volta si supera in un libro inchiesta che sa di urla nel silenzio,
di disperato tentativo di denuncia; mette in fila nomi e cognomi di chi è
stato, di chi ha eseguito, di chi ha stuprato e ucciso, di chi ha deriso, ma
anche di chi ha salvato a suo rischio e pericolo in quei giorni, mesi, anni
tremendi di morte violenta autorizzata e sdoganata come pratica usuale”.
(Silvio Ziliotto)
“Questo
libro è importante perché offre una sponda, una voce e – perché no? – una
speranza a tutte quelle persone in attesa di giustizia, di un riconoscimento
del dolore patito, di pietà umana”. (Marco Travaglini)
“Le
ferite che ci portiamo tutti addosso e dentro facilitano non poco il compito di
chi vuole dividerci con la propaganda di parte. Viviamo, così, solo da un ciclo
di guerra all’altro, mentre quelli sopra stanno bene e noi sotto, purtroppo,
subiamo”. (Rato Rajak)