venerdì 27 maggio 2016

Uranio, una settimana rivoluzionaria

Una settimana rivoluzionaria. Una settimana dove in certi momenti abbiamo stentato a credere ai nostri occhi. Una settimana che stavamo aspettando da tanto tempo. Sedici anni, per l’appunto. È iniziata venerdì scorso, con una sentenza definita storica, senza esagerazioni. Il ministero della Difesa è stato condannato a pagare 1,8 milioni di euro alla famiglia Vacca. Si ipotizza un omicidio colposo: Tore, così come lo chiamavano gli amici, non aveva ricevuto le giuste protezioni e le precauzioni.
Perché Tore nel settembre 1999 è morto a causa dell’uranio impoverito.
C’è scritto nero su bianco nel dispositivo della sentenza d’appello e quindi ora si può dire ufficialmente.
Nel 2005 abbiamo scelto proprio la sua storia, e quella di sua mamma Giuseppina, una donna forte e coraggiosa, per aprire il nostro libro di inchiesta sull’uranio impoverito (“Uranio, il nemico invisibile”). Giuseppina, la sua forza, la sua tenacia hanno scoperchiato il vaso di Pandora di questa vicenda che in questi anni ci ha fatto vivere di tutto: l’omertà, le bugie, le deviazioni, le ammissioni. E le sentenze. Ce ne sono state più di 40 favorevoli alle vittime, ma questa è la più forte di tutte. Si dice senza mezzi termini che il soldato Salvatore Vacca morì a causa dell’uranio impoverito. E che la letteratura scientifica internazionale in questi anni ha dimostrato con così tanta chiarezza il nesso tra le malattie e l’uso di uranio che non è più neanche il caso di doverlo dimostrare in ogni procedimento giudiziario.
“La sentenza non mi restituirà mio figlio, ma giustizia è stata fatta”, ha detto mamma Giuseppina.
Una settimana lunga, dicevamo. Tra lunedì e martedì la Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito della Camera ha preparato e, ieri, votato, una relazione di maggioranza approvata quasi all’unanimità (un solo voto contrario). Sottolinea le verità giudiziali e si spinge oltre nel campo della tutela previdenziale: le cause di servizio dei militari adesso dovranno essere sottratte all’amministrazione della Difesa e gestite dall’Inail.
Una rivoluzione nel senso della giustizia. È giusto che a decidere sulla sorte dei soldati non siano i loro superiori o apparati della Difesa, ma l’Inail, come per tutti gli altri cittadini.
Ieri mattina in audizione c’era il ministro Pinotti: proprio qualche settimana fa aveva affermato in un’intervista al progamma tv Le Iene che “il problema uranio non esiste”.
È stata costretta a essere più cauta dai commissari incalzanti.
E le è stata strappata una promessa: che il ministero smetta di fare appelli inutili alle sentenze di condanna. Inutili, perché perde praticamente sempre. E i conti per lo Stato aumentano sempre di più perché ai risarcimenti si sommano gli interessi.
Ebbene il ministro ha detto che si impegnerà a farlo, ma che l’ultima parola spetta all’avvocatura dello Stato. Quindi il suo parere è poco più che consultivo. Ecco, non ci basta.
Serve ben altro, ministro. E lei come titolare del ministero può farlo. Anche perché in molti casi, come ha sostenuto l’Osservatorio militare, l’avvocatura dello Stato ha espresso parere negativo al ricorso. Ma il ministero ha proceduto lo stesso.
Non si nasconda dietro giustificazioni formali, ministro.
Agisca. Il momento è adesso.

(di Stefania Divertito, giornalista e scrittrice)