mercoledì 20 dicembre 2017
I polacchi nazionalconservatori e i bassotti burocrati di Bruxelles
Anche l'Unione europea s'è accorta - è notizia di oggi - che la Polonia è in mano a una maggioranza ultranazionalista e ultraconservatrice che attenta alle libertà individuali e collettive, oltre che al sistema complessivo della giustizia nel Paese est-europeo. E così, "col cuore pesante", per la prima volta nella storia l'Unione europea avrebbe deciso, per bocca del vicepresidente della Commissione, Frans Timmerman, di avviare le procedure di attivazione dell'Articolo 7 dei Trattati, che prevedono sanzioni fino alla riduzione degli aiuti al Paese membro colpito e alla sospensione dei diritti di voto. Insomma, un intervento liberticida contro i liberticidi polacchi. Che ci sta tutto, per carità. Solo che magari ci si doveva pensare un po' prima... magari prima che la maggioranza nazionalconservatrice polacca, come viene definita, diventasse quasi nazionalsocialista, cosa in cui si sta gradualmente trasformando. Una prima presa di coscienza da parte della Ue, come sempre tardiva, che potrebbe finalmente far capire persino al commissario agli Esteri che oltre alla Polonia, l'ondata nera arriva - e da anni, ormai - anche da Ungheria, Repubblica Ceka, Slovacchia, Croazia... e i finanziamenti giungono da molto più a est. Magari sarà stato il ritorno di un certo nazionalsocialismo in Austria a far rizzare le orecchie anche dei bassotti burocrati di Bruxelles... ma meglio tardi che mai!
martedì 19 dicembre 2017
Višegrad: le storie, l’anima, la terra - la lettera di Lorenzo Gambetta
Il
viaggiatore balcanico Lorenzo Gambetta ha letto Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio e mi ha inviato ieri questa
bella lettera, che è recensione, riflessione, mea culpa collettivo, promessa.
Grazie a lui per averla scritta, a voi che la leggerete e poi troverete la
voglia di leggere Višegrad. L’odio, lamorte, l’oblio.
È un
libro che non finisce nella tua libreria per caso: se ti è stato regalato,
arriva da un finissimo buongustaio, se lo hai comprato conosci bene Višegrad,
la Bosnia, l’orrore di una guerra assurda. Assurda sì, forse anche meno
conosciuta di quello che si dovrebbe.

Tutti
conoscono la triste storia di Anna Frank, pochissimi conoscono quella di Zlata
Filipović. Eppure si tratta di due bambine i cui occhi hanno visto in egual
misura il terrore, la morte, l’angoscia e la disperazione. Parimenti tutti
hanno letto I promessi Sposi,
pochissimi Il ponte sulla Drina,
nonostante Ivo Andrić fosse un premio Nobel. Troppo lontana la Bosnia, troppo
difficile da capire quella terra tormentata alla confluenza di due mondi,
cristiano e musulmano, dove si incontrano da sempre etnie, religioni e culture.
Bosnia terra di sangue, di miele e di ponti, come quello sulla Drina appunto, a
Višegrad.
Sono
convinto che con questo libro Luca Leone possa riuscire dove non è riuscito Andrić,
ovvero fare in modo che il ponte e il fiume di questa città entrino nell’orbita
della percezione dell’uomo qualunque. Sono troppo distanti dalla sua vita
quotidiana il visir Mehmed Pascià o i Beg che parlano di stelle e di Allah
sulla Kapija, più facile venga svegliato dal suo colpevole torpore leggendo di
Bakira, di Kym, di Lejla, di Kanita e del gigante triste Amor. Storie di esseri
umani forti, a cui è stato tolto tutto ma che nonostante questo hanno una forza
e una dignità senza eguali.
Le
parole del libro sono toccanti, hai la sensazione di essere di fronte a queste
persone ad ascoltare le loro storie. Essere di fianco a Luca Leone che, con un
nodo alla gola, le ascolta. E con lui vorresti abbracciarle, vorresti piangere,
a tratti vomitare, poi urlare. Ti rendi però conto che non puoi che provare
vergogna, per colpe non tue certo, ma il senso di umanità che c’è in ognuno di
noi viene scalfito prepotentemente e irrimediabilmente. Non può che essere
così. Ed è giusto che lo sia, perché questo libro non finisce, sfogliata la sua
ultima pagina.
Le
storie e la terra in esso contenute, sono vive. Oggi più che mai. Nell’odierna
Bosnia, che in questi giorni festeggia mestamente l’anniversario degli accordi
di Dayton che posero fine alla guerra che ha devastato le sue interiora, in
troppi soffiano beffardi sulle braci ancora calde, facendo leva sui
nazionalismi e sulla mancanza di speranza del popolo, povero e costretto a
lasciare la propria amata terra. Non può esserci un futuro per questo Paese se
prima non viene trovata giustizia. Quella giustizia che è stata negata troppe
volte, alle madri di Srebrenica, agli abitanti di Višegrad, ai prigionieri di
Jasenovac, Prijedor, Foča, agli abitanti resilienti della Sarajevo assediata. E
a tanti altri. A troppi altri.
Questo
libro pesa, più di quanto sembra. Dopo averlo letto non si hanno più scuse, non
si può più fare finta di niente. Non si può metterlo su uno scaffale a prendere
polvere, ma va tenuto sul comodino, perché ci ricordi ogni giorno il carico di
morte, di vita e di oblio che contiene.
Lorenzo
Gambetta
lunedì 18 dicembre 2017
I Bastardi di Sarajevo: una riflessione piena di riferimenti e di poesia, regalo di un lettore-viaggiatore


sabato 16 dicembre 2017
Bosnia-Ue: altro che giustizia! Plauso, ma per le accise...
La Camera dei Rappresentanti del Parlamento della Bosnia Erzegovina ha approvato alcuni emendamenti alla legge sulle accise (emendamenti contestati non solo dalle opposizioni ma anche da alcuni partiti della composita maggioranza, oltre che dalla società civile) e la commissaria agli Esteri, l'italiana Federica Mogherini, si è sperticata in elogi.
Secondo la burocrazia europea, le nuove norme sulle accise permetteranno al Paese balcanico di procedere con i lavori di costruzione dell'autostrada, di fare importanti aggiustamenti di bilancio, di avvicinarsi strutturalmente al resto d'Europa e di garantire stabilità complessiva a livello macroeconomico.
Neanche una parola sul fatto che i bosniaco erzegovesi siano uno dei popoli più poveri d'Europa, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 50 per cento della popolazione attiva, che negli ultimi quattro anni più di 150.000 cittadini siano emigrati a causa della disperazione e che la vera grande emergenza nel Paese non sia quella di introdurre nuove tasse ma è quella della mancanza di giustizia e della corruzione diffusa (anche negli stessi partiti che hanno approvato la legge in parola).
L'Europa dei burocrati vince una nuova partita; la povera gente di Bosnia ormai è abituata a perdere da almeno trent'anni...
Secondo la burocrazia europea, le nuove norme sulle accise permetteranno al Paese balcanico di procedere con i lavori di costruzione dell'autostrada, di fare importanti aggiustamenti di bilancio, di avvicinarsi strutturalmente al resto d'Europa e di garantire stabilità complessiva a livello macroeconomico.
Neanche una parola sul fatto che i bosniaco erzegovesi siano uno dei popoli più poveri d'Europa, con un tasso di disoccupazione che sfiora il 50 per cento della popolazione attiva, che negli ultimi quattro anni più di 150.000 cittadini siano emigrati a causa della disperazione e che la vera grande emergenza nel Paese non sia quella di introdurre nuove tasse ma è quella della mancanza di giustizia e della corruzione diffusa (anche negli stessi partiti che hanno approvato la legge in parola).
L'Europa dei burocrati vince una nuova partita; la povera gente di Bosnia ormai è abituata a perdere da almeno trent'anni...
giovedì 14 dicembre 2017
14 dicembre 1995, firmati a Parigi gli Accordi di Dayton
Il 14
dicembre 1995, a Parigi, venivano firmati gli Accordi di Dayton, formalizzati
nell’Ohio (Usa) neanche un mese prima.
Gli
Accordi – che, tra le altre cose, riconoscevano l’intangibilità delle frontiere
– mettevano fine formalmente (nella realtà, ad esempio, l’assedio di Sarajevo
sarebbe durato fino al febbraio dell’anno dopo, giungendo al record assoluto di
1.445 giorni) al conflitto bosniaco-erzegovese del 1992-1995, lasciando un Paese
devastato e rimandato strutturalmente indietro nel tempo di mezzo secolo, oltre
a circa 104.000 morti sul terreno.
I
numeri di quella guerra fanno paura e sarà bene ricordarne qualcuno, anche a
beneficio dei tanti negazionisti e dei troppi nazionalisti ancora oggi intenti
a disseminare odio e a girare il coltello nella piaga di un dopoguerra
particolarmente doloroso e instabile. Oltre alle vittime, di cui sopra (il 68% circa
delle quali appartenenti al gruppo musulmano-bosniaco, il 26% circa a quello
serbo-bosniaco, poco più del 5% a quello croato-bosniaco, più un migliaio di “altri”
a chiudere le statistiche dell’orrore), relativo alle vittime accertate di
quella guerra, vanno senz’altro ricordati i 2,2 milioni circa di sfollati, gli 1,5
milioni di profughi che ancora oggi costituiscono in gran parte la diaspora
bosniaca all’estero, i circa 16.000 desaparecidos
e alcuni degli episodi più spaventosi, come i 10.701 morti del genocidio di
Srebrenica, il ritorno dei campi di sterminio in Europa (ad esempio Omarska nei
pressi di Prijedor), la pulizia etnica integrale di Višegrad e molti altri
ancora.
Oggi,
ventidue anni dopo, ancora molti idioti continuano a soffiare sulle braci
ancora calde per far piombare di nuovo la Bosnia Erzegovina nell’incubo. Alle
persone di buona volontà il compito di raccogliere e tramandare memoria per
fare sì che non si ripeta di nuovo.
mercoledì 13 dicembre 2017
Christiana Ruggeri miglior scrittrice del 2017 per #PuntoLettura

I dannati è un coraggioso reportage sul Venezuela, Paese ormai
completamente allo sbando, con centinaia di migliaia di bambini che soffrono la
fame e in cui chi si trova in carcere,
diventa invisibile. Ma è proprio dal carcere di San Juan de Los Morros, una struttura gestita dai narcotrafficanti, dove le guardie bolivariane non entrano, che
si leva il grido disperato di Rico, un piccolo spacciatore, che raccoglie di nascosto le storie dei
suoi compagni di vita, per dare un senso ai suoi giorni. Malato e
stanco, prima di morire affida il suo reportage dalla
fine del mondo, alla goccia bianca, la suora-maestra del PGV (Penitenciaría
General de Venezuela).
“La situazione all’interno degli istituti di pena (e anche nei centri di
detenzione pre-processuale) in Venezuela è tragica. Il racconto di Riccardo,
riportato in questo libro, lascia senza fiato. E Christiana Ruggeri è straordinariamente
brava nel renderlo testimonianza drammatica, incalzante, nello scriverne come
se avesse visto coi suoi occhi”. (Riccardo Noury)
“La Penitenciaría non è uno strumento di contrasto alla
criminalità, ne è semmai la roccaforte. L’inferno di violenza e di ferocia che
il libro descrive non è costruito per ridurre il crimine o i reati, ma per
comprimerli in uno spazio circoscritto in cui gestirli, monitorarli e, quando è
possibile, valorizzarli, ovvero estrarne valore economico attraverso una gestione
corrotta del carcere. In questo modo non si contrasta né si riduce la
criminalità, ma si prova a relegarla in uno spazio, materiale e simbolico,
diverso dal nostro. E questo, che piaccia o meno, accade in ogni Paese al
mondo”. (Alessio Scandurra)
Con il patrocinio di Antigone
Onlus

Titolo: I dannati. Reportage dal carcere venezuelano più pericoloso del mondo
Autrice: Christiana Ruggeri. Prefazione di Riccardo Noury, introduzione di Alessio Scandurra
€
14,00 – pag. 168
Con
il patrocinio di Antigone onlus
Christiana
Ruggeri, giornalista in forza agli Esteri del Tg2, gira il mondo
per raccontarlo. Da sempre attenta ai diritti umani, si interessa della
situazione delle donne e dei bambini, soprattutto in Africa e
nell’America Centrale e Latina, dove
ha partecipato a diverse missioni umanitarie. Con Giunti ha
pubblicato con successo Dall’Inferno si ritorna (2015) e, per
gli ottant’anni del campo di Sachsenhausen, la nuova versione de La
lista di Carbone (2016), già finalista al Premio Bancarella.
Con la nostra casa editrice ha pubblicato I DANNATI. REPORTAGE DAL CARCERE VENEZUELANO PIU' PERICOLOSO DEL MONDO (2017).
Con la nostra casa editrice ha pubblicato I DANNATI. REPORTAGE DAL CARCERE VENEZUELANO PIU' PERICOLOSO DEL MONDO (2017).
lunedì 4 dicembre 2017
Comunicazioni importanti: Piùlibri piùliberi 2017, nuovo sito Web e distribuzione nelle librerie
Dal
6 al 10 dicembre 2017
la nostra casa editrice sarà presente alla sedicesima edizione di “Piùlibri
piùliberi”, la fiere della piccola e media editoria italiana che si svolge
tradizionalmente a Roma. Quest’anno, per la prima volta, la
manifestazione non si tiene al Palazzo dei Congressi dell’Eur ma presso la Nuvola,
sempre all’Eur (da mercoledì 6 a domenica 10 dicembre, apertura dalle
10,00 alle 20,00) Per la precisione, si tratta dell’inaugurazione al
pubblico della stessa Nuvola, con tutti i relativi disagi, di cui ci rendiamo
conto da tempo sulla nostra pelle.
Per
la nostra casa editrice si tratta dell’undicesima o della dodicesima
partecipazione a “Piùlibri piùliberi”: onestamente abbiamo perso il conto, ma
ci andiamo praticamente da quando siano nati, essendo la nostra data di
fondazione l’8 novembre 2004.
Nei
mesi scorsi abbiamo a più riprese palesato dubbi sulla nostra partecipazione
alla manifestazione. Nel corso degli anni, a nostro giudizio, la manifestazione
ha perso molto del suo appeal nei confronti del pubblico e i dati di
vendita sono andati, anno dopo anno, inesorabilmente decrescendo, facendo
diventare, nelle ultime cinque edizioni, la partecipazione alla fiera una
remissione.
La
novità rappresentata dalla Nuvola, l’insistenza di un amico fraterno editore e
la disponibilità – inedita – dell’organizzazione ad ascoltare le nostre ragioni
e ad adoperarsi per venire almeno parzialmente incontro alle nostre richieste
ci ha spinto a partecipare di nuovo.
Poiché,
però, non per tutti sono chiari i costi di partecipazione e i sacrifici che
devono essere fatti per prendere parte a una simile manifestazione, sarà bene
fare due conti nelle nostre tasche, per far comprendere come per una piccola
casa editrice la partecipazione a eventi come “Piùlibri piùliberi” o altre
fiere o festival del libro sia piuttosto onerosa e affatto scontata.
Al
di là del fatto che i cinque giorni di fiera (secondo noi ingiustificati,
perché la formula iniziale ne prevedeva quattro e a quei quattro bisognerebbe
tornare) determinano un impegno personale di almeno sette giorni, che vanno
conteggiati come lavoro perso, poi da recuperare; e al di là del fatto che la
fiera del libro è, dal punto di vista fisico, un impegno molto duro; è
l’aspetto economico a rappresentare sempre la principale preoccupazione,
soprattutto in un Paese in cui l’editoria non ha alcuna protezione e in cui gli
editori sono semplici mucche da mungere per quasi tutta la filiera, Stato
incluso. Anzi, in testa.
Tra
iscrizione alla manifestazione, spese di spedizione dei pacchi, assicurazioni,
costi di trasferta, vitto e alloggio e altri costi accessori, la partecipazione
a una fiera del libro come “Piùlibri piùliberi” rappresenta per noi un costo
complessivo di circa 3.500 euro, ai quali vanno poi aggiunti i costi dei libri,
perché stampare un libro costa e quando vendi una copia il costo unitario di
quella copia va scalato dall’incasso. Alla fine, quindi, si arriva a dover
coprire un costo di circa 4.000 euro, al quale vanno aggiunti i costi delle
presentazioni, che quest’anno abbiamo coperto grazie al sostegno degli autori
(copertura del costo della sala da parte loro in cambio di copie del loro
libro), senza il quale sarebbe stato impossibile aggiungere questo costo
ulteriore (a “Piùlibri piùliberi” quest’anno facciamo ben cinque presentazioni,
con ospiti molto importanti, e la sala più piccola costa 120 euro più Iva al 22%
per 50 minuti di incontro).
Evidentemente
per chi “gioca in casa” (ma non è il nostro caso, come quello di molti altri
editori) i costi sono più abbordabili, ma restano comunque spese ingenti da
affrontare anche per il solo affitto dello spazio espositivo e per
l’allestimento dello stand.
Per
coprire costi quali quelli sopra riportati e considerare una fiera del libro
non una remissione (eccessiva) bisogna riuscire a vendere almeno 300 copie,
numero (insufficiente) che ormai in ben pochi possono raggiungere. Per
guadagnare qualche euro, i libri dovrebbero essere almeno 400, obiettivo
possibile solo per ben pochi editori. Si va comunque “sotto”, dunque, ma si
cerca di dare un valore “economico” ai cosiddetti “contatti”, ovvero a
quell’universo di rapporti umani e professionali che si instaurano con
promotori, distributori, aspiranti autori, autori già sotto contratto, librai,
grossisti, amici degli amici, lettori, colleghi, giornalisti, bibliotecari e
altri ancora per fare in modo di “uscirci fuori” in qualche modo.
Poiché
negli ultimi anni ci si è “usciti” sempre meno, e poiché non crediamo sia
sbagliato sia darsi degli obiettivi sia spiegare al pubblico come funzionano
questi eventi, quest’anno ci siamo dati un obiettivo perentorio. Non superarlo
vorrà dire non tornare a “Piùlibri piùliberi” nel 2018 e negli anni a venire.
Idem con tutte le altre manifestazioni librarie.
A
questo proposito, va detto che il prossimo anno non parteciperemo a nessuna
delle due fiere milanesi di marzo, per motivi più vari, non ultimo il cambio di
distributore al quale ci stiamo preparando, che sta avendo e avrà un costo non
indifferente, ivi incluso per la comunicazione ricevuta lo scorso 13 ottobre da
parte del nostro attuale distributore, il quale ha “ben” pensato di ripianare le
sue difficoltà economiche andando in concordato preventivo continuativo, il che
vuol dire che il pagamento delle nostre fatture da marzo 2017 al 13 ottobre
2017 è stato congelato e che probabilmente perderemo molta parte di ciò che ci
spetta e che riceveremo chissà quando quel che pure abbiamo onestamente
guadagnato. Il rapporto tra Italia e cultura è anche questo. A ben pochi tra
coloro a cui dovrebbe importare pare che importi, a cominciare dal ministero
della Cultura, ma è bene che tutto questo si sappia, perché nascondere la
polvere sotto il tappeto è quanto di peggio si possa fare. Naturalmente – si fa
per dire… – sarà difficile trovare i nostri libri in libreria nel mese di
dicembre (ma è una tendenza che purtroppo va avanti, nostro malgrado, da qualche
mese). Abbiate pazienza, venite ad acquistare sul nostro sito e vedrete che da
gennaio 2018 tutto cambierà in meglio. Anzi, molto meglio.
Un
ultimo breve paragrafo lo dedichiamo, in chiusura, al nostro nuovo sito. Stiamo
lavorando per implementarlo e per migliorarlo ulteriormente e non c’è giorno
che non si faccia qualcosa di nuovo. Riceviamo gradimenti diffusi per il nuovo
sistema di e-commerce, che facilita e sveltisce tantissimo le procedure
rispetto al precedente. Se qualcuno dovesse avere qualche problema nella
visualizzazione del menu di sinistra con la lista delle collane editoriali, non
deve fare altro che modificare leggermente la visualizzazione sul suo computer.
Farlo è molto semplice: spingete il pulsante control (Ctrl) e agite delicatamente
con la rotellina del mouse. In questa maniera potrete ingrandire o
rimpicciolire leggermente il sito visualizzando tutto nel modo migliore. Il
sito è ottimizzato per girare su dispositivi mobili e, per quanto riguarda
desktop e laptop, su Chrome, oggi il browser più usato, e su Mozilla.
Aspettiamo in ogni caso suggerimenti, consigli e altro.
Grazie.
Ci
vediamo – speriamo – a Roma, augurandoci che la scelta di libri e i valori che
portiamo con noi siano di vostro gradimento.
giovedì 23 novembre 2017
Oggi e domani incontri sulla Bosnia a Montebelluna e a Venezia
mercoledì 22 novembre 2017
Ratko Mladić condannato all’ergastolo in primo grado
L’ex
capo di stato maggiore dell’autoproclamata Repubblica serba di Bosnia, il già
generale Ratko Mladić, è stato condannato dal Tribunale penale internazionale
per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (Tpi) de L’Aja all’ergastolo, come
richiesto dalla Procura generale. Mladić è stato condannato per il genocidio di
Srebrenica, per crimini contro l’umanità e per la violazione delle leggi di
guerra in materia di trattamento dei prigionieri, il tutto in riferimento a
molteplici fatti di sangue avvenuti durante la guerra di Bosnia Erzegovina, tra
il 1992 e il 1995.
Mladić
e il suo avvocato questa mattina in aula prima della sentenza si sono lasciati
andare a comportamenti ostruzionistici; per questa ragione l’ex generale è
stato fatto allontanare in un’altra aula, dove ha potuto ascoltare la sentenza.
La
condanna ai danni di Mladić, pur segnando una pagina storica del conflitto
bosniaco-erzegovese, non è ancora definitiva e certamente la vicenda
giudiziaria del cosiddetto “boia di Srebrenica” si arricchirà di altre pagine,
fino alla sentenza di secondo grado.
Mladić è stato condannato in particolare per genocidio, persecuzione,
sterminio, omicidio e atti inumani per lo spostamento forzato di civili nell’area
di Srebrenica nel luglio del 1995; per persecuzione, sterminio, omicidio,
deportazione e atti disumani perpetrati in diverse municipalità della Bosnia
Erzegovina; per omicidio, terrore e attacchi illegali contro i civili durante
l’assedio di Sarajevo; per la presa in ostaggio di personale delle Nazioni
Unite. Allo stesso tempo, è stato assolto dall’accusa di aver perpetrato
genocidio in altre aree della Bosnia Erzegovina, diverse da Srebrenica, nel
1992.
Le parole pronunciate contro Mladić durante la
lettura della sentenza da parte del presidente della giuria, Alphons Orie, sono
state pesanti come macigni, ma di certo non sposteranno di un millimetro le
posizioni dei negazionisti e di coloro che ritengono da sempre un personaggio
come l’ex generale, macchiatosi degli abomini sopra elencati, un “eroe”.
Mladić
era stato rinviato a giudizio già nel luglio del 1995, in contumacia, ma il
processo ai suoi danni è potuto cominciare solo il 16 maggio 2012, dopo una
lunghissima latitanza dorata, favorita da organi sia dello Stato serbo che
dell’entità della Repubblica serba di Bosnia. I giudici hanno tenuto 530 giorni
di udienza, hanno sentito 592 testimoni e consultato oltre diecimila documenti
ammessi in giudizio. Tra il 5 e il 15 dicembre 2016 sono stati esposti gli
argomenti finali da parte di accusa e difesa e da allora si è attesa la
sentenza di primo grado. Che considerare un atto dovuto è il minimo.
Incluso
Mladić sono 161gli accusati di crimini di guerra processati dal Tribunale de L’Aja.
Al momento, compreso quello contro Mladić, solo sei di questi procedimenti sono
in corso, mentre gli altri 155 si sono conclusi.
mercoledì 15 novembre 2017
Giovedì e venerdì di incontri in Sicilia
Giovedì 16 e venerdi 17 due incontri in Sicilia organizzati da Amnesty International per VISEGRAD. L'ODIO, LA MORTE, L'OBLIO. A seguire, altri incontri fino all'inizio di dicembre tra Veneto, Emilia e Lazio.
NOVEMBRE
Giovedì
16 novembre, PALERMO, Real Fonderia
Oretea, ore 17,00; dialogo con Giuseppe Provenza, Coordinamento Europa di
Amnesty International, moderato da Maria Vittoria Cerami, responsabile del
Gruppo 233 di Amnesty International; organizza il Gruppo 233 di Amnesty
International.
Venerdì
17 novembre, MARSALA, Complesso
monumentale San Pietro, ore 16,30; organizza Amnesty International.
Giovedì 23
novembre, MONTEBELLUNA, Biblioteca
comunale, in definizione; organizza il Gruppo di Montebelluna di Amnesty
International. “Alla vigilia del 25 novembre, Giornata internazionale contro la
violenza sulle donne, lo scrittore e giornalista Luca Leone e Riccardo Noury,
portavoce di Amnesty International Italia, ricordano le guerre dei Balcani
negli anni Novanta e la pressoché totale assenza di giustizia, riparazione e
assistenza psico-fisica per le decine di migliaia di ragazze e donne che furono
vittime di stupri in quel conflitto al centro dell'Europa”.
Venerdì 24
novembre, CASTELFRANCO VENETO,
scuola, ore 9,00.
Venerdì 24
novembre, VENEZIA, Metri cubi, San
Polo 2003, ore 19,00.
DICEMBRE
Venerdì
1 dicembre, REGGIO EMILIA, Centro congressi Simonazzi c/o Cisl Reggio Emilia,
via Turri 55, ore 18,00; organizzano Iscos Emilia Romagna e Cisl Emilia Romagna.
Martedì
5 dicembre, ROMA, Libreria L’orto
dei libri, via dei Lincei 31, ore 19,00.
Come sempre, vi aspetto numerosi.
mercoledì 8 novembre 2017
La Bosnia, il fantasma di Churkin e il negazionismo serbo su Srebrenica
Lo
scorso 5 novembre un’associazione di “patrioti” serbo-bosniaci, in
collaborazione con l’ambasciata russa in Bosnia Erzegovina e il comune di
Sarajevo Est, ha inaugurato una grossa targa nera in memoria dell’ex
rappresentante diplomatico russo presso le Nazioni Unite Vitaly Churkin, l’uomo
che nel 2015 s’è opposto all’approvazione da parte del Consiglio di sicurezza
dell’Onu di una risoluzione che, vent’anni dopo, riconosceva il genocidio di Srebrenica.
Risoluzione che il rappresentante dei “patrioti” serbo-bosniaci ha definito “vergognosa
e perfida”, sorvolando sui 10.701 morti del genocidio e su tutto il resto.
Sarajevo
Est è così riuscita laddove finora hanno fallito gli ultranazionalisti serbo-bosniaci
di Srebrenica negli ultimi due anni. Tace l’Alto rappresentante della comunità
internazionale in Bosnia, ma si tratta dell’ennesima pugnalata alle spalle
della pace e della stabilità nel Paese balcanico, che tira in ballo
inevitabilmente anche la pace e la stabilità in tutto il continente. Una volta
di più – ma su questo ormai non possono più esserci dubbi – con il pieno
sostegno di Mosca, in questo inquietante secondo tempo della guerra fredda.
lunedì 6 novembre 2017
Buon tredicesimo compleanno Infinito edizioni!
Infinito edizioni
festeggia (con il nuovo sito Web) il tredicesimo compleanno con un’offerta imperdibile: solo fino a
domenica 12 novembre le spese di spedizione, per un ordine fino a 2 kg, saranno
di € 0.99 invece che € 3.99 e in più, per ogni acquisto, un prezioso libro del
nostro catalogo in omaggio.
Non perdete
l'opportunità di festeggiare con noi!!
martedì 31 ottobre 2017
Bosnia, emorragia umana senza sosta
Dalla
Bosnia Erzegovina in mano alle oligarchie politiche e criminali sono andate via
151.000 persone negli ultimi quattro anni. Lo riferisce l’agenzia Fena citando una ricerca compiuta dall’Unione
per il ritorno sostenibile e le integrazioni in collaborazione con un centinaio
di organizzazioni non governative locali. Per una popolazione censita in
occasione del discusso referendum del 2013 in circa 3,5 milioni di persone, si
tratta di un’emorragia spaventosa, l’ennesima negli ultimi venticinque anni. Va
ricordato che oltre un milione di cittadini bosniaco-erzegovesi vive già all’estero
e costituisce la cosiddetta diaspora. La povertà, la criminalità, la mancanza
di lavoro, la radicalizzazione dei nazionalismi, la totale mancanza di risposte
della politica ai bisogni delle persone, i continui scandali, l’assoluta
mancanza di prospettive sono le ragioni principali per le quali le persone
lasciano il Paese, stante anche l’incapacità dell’Unione europea di assumere
decisioni che contrastino con la polarizzazione politica all’interno di pochi
gruppi oligarchici impuniti e sostenuti internazionalmente. Non sono solo i
giovani ad andare via, ma spesso sono le madri di famiglia, che all’estero
cercano di trovare un reddito per permettere alle loro famiglie di sopravvivere
in patria. Intere zone del Paese sono oggetto ormai di un diffuso spopolamento,
come nella Bosnia orientale e in quella settentrionale, ma non è ben chiaro se
si tratti di un preciso disegno politico o di semplice cecità di chi governa.
Quel che è chiaro è invece che appezzamenti sempre più ampi di terreno sono
oggetto dell’interesse di gruppi arabi ed europei, che acquistano a prezzi
irrisori, certo non casualmente.
martedì 24 ottobre 2017
Poche ore per il nuovo sito www.infinitoedizioni.it
dalle 18,00 circa del 23 ottobre 2017 potreste riscontrare
problemi sia nel navigare sul nostro sito www.infinitoedizioni.it sia nel
comunicare con noi via posta elettronica.
I problemi di cui sopra sono dovuti al fatto che, come
preannunciato circa un mese fa, tra la
fine del 24 ottobre e il 26 ottobre circa prenderà corpo la seconda delle tre
grandi novità del 2017. Se la prima novità era il passaggio con la società
Emme Promozione per quanto riguarda la promozione editoriale dei nostri libri,
la seconda è legata al nuovo sito Web,
che metteremo appunto online nei
prossimi giorni. E di cui qui potete vedere una piccolissima anteprima in
questa immagine. Poiché il caricamento del nuovo sito – dietro cui ci sono mesi
di lavoro a fari spenti – coincide anche con il cambiamento di hosting, che
coinvolge inevitabilmente anche le caselle di posta elettronica, ecco spiegato
il perché delle 48 ore di “buio” internettiano che ci prepariamo a vivere.
Fino al 26 ottobre, in ogni caso, sarà disponibile per le
emergenze la casella e-mail infinitoedizioni@gmail.com
Speriamo che il nuovo sito vi piaccia.
La navigazione è molto più agile, è pensato per girare sui
dispositivi mobili, è molto più dinamico del vecchio e molto più divertente sia
da navigare che da sviluppare. È possibile che nei primi giorni di vita del
sito possano riscontrarsi dei problemi, ma con il vostro aiuto andrà in breve
tutto a posto. Tra i problemi riscontrabili, c’è senz’altro il mancato
caricamento di una settantina di e-book, al quale avremo modo di porre rimedio
man mano nelle prime settimane di vita del nuovo sito. In ogni caso tutti gli
e-book continuano a essere disponibili sulle decine di store online presso i quali sono normalmente in vendita e molto
presto saranno disponibili anche le versioni e-book degli ultimissimi libri,
rispetto alle quali siamo rimasti indietro.
Arrivederci a fine 2017 con l’ultima grande novità di quest’anno
di grandi cambiamenti. E speriamo che il nuovo sito Web piaccia a voi tanto
quanto piace a noi.
Grazie per la pazienza e per la collaborazione gentilissima
che ci darete.
Infinito edizioni
Caporetto 1917: fu resa o battaglia?
Ricorre il prossimo 24 ottobre il centenario della
dodicesima battaglia dell’Isonzo, meglio conosciuta come battaglia o disfatta
di Caporetto. Abbiamo chiesto allo storico Valerio Curcio, che ha curato
l’introduzione al romanzo storico di Daniele Zanon Nina nella Grande
Guerra, un commento sui fatti di quel giorno.
A cent’anni di distanza
siamo ancora qua a discutere su cosa rappresentò veramente per il Regio
Esercito Italiano quel che accadde dalla notte sul 24 ottobre 1917. L’episodio
è noto in tanti modi, tutti coniugati al negativo, ancor oggi sinonimi di
infausti presagi; rotta, disfatta, resa, disastro, catastrofe. In pochi hanno sentito
parlare di battaglia di Caporetto.
Probabilmente la sfumatura negativa si deve al revisionismo storico durante il
ventennio fascista o al famoso bollettino di Cadorna nel quale si additavano i
soldati italiani di viltà e tradimento, quali unici responsabili dei fatti
accaduti.
In occasione del Centenario
la discussione si è riaperta; oggi abbiamo a disposizione una gran mole di documenti
che, nella maggior parte dei casi, si discosta in modo anche deciso dalla
storiografia ufficiale, quest’ultima viziata dal revisionismo imposto durante
il ventennio fascista.
lunedì 23 ottobre 2017
“Nina nella Grande Guerra” cento anni dopo Caporetto
“Nina
nella Grande Guerra” è un romanzo storico, in equilibrio fra storia
e finzione. Quale peso hanno avuto nella narrazione i due termini, cioè
l’invenzione narrativa e il rigore storico?
Nina nella Grande Guerra è
romanzo storico in senso ampio. La narrazione si sviluppa attorno a fatti
successi realmente, ma questi fatti vengono messi in relazione attraverso il
vissuto di personaggi che sono frutto di fantasia. Storie minori e personaggi
inventati servono a portare all’attenzione del lettore la verità di fatti
storiograficamente importanti.
Quali sono allora questi
fatti veri su cui si costruisce il plot del romanzo?
I fatti sono sostanzialmente
tre.
Il primo: due giorni prima
della rotta di Caporetto arrivano al comando italiano di Cividale due disertori
romeni. Questi consegnano in mani italiane il piano di attacco austriaco così
come si sarebbe verificato il 24 ottobre.
Il secondo: il comando di
Cividale, in conseguenza a questa informazione, decide di mandare in località
Foni, poco distante da Caporetto, uno dei due reggimenti che compongono la
brigata Napoli, così da arginare lo sfondamento del giorno dopo. Sono
cinquemila uomini. Troppo pochi, comunque. Non avrebbero avuto alcuna
possibilità di fare la differenza. Ma il giorno dopo la brigata Napoli non sarà
al posto designato. Tutti quei soldati se ne staranno nascosti nelle alture
circostanti. Questo è ciò che succede.
Il terzo fatto è davvero
piccolo e insignificante ma mi conquistò più di tutti appena ne venni a
conoscenza, tanto da farne il vero cuore del romanzo. Nei giorni successivi lo
sfondamento di Caporetto, dopo la sostituzione di Cadorna col generale Diaz,
viene dato l’ordine di scavare una trincea bassa, 30 chilometri sotto la linea
del Piave. La trincea, che seguiva la linea Treviso-Vicenza, sarebbe servita ad
arginare un eventuale sfondamento dell’esercito nemico anche sulla linea del
Piave. Durante lo scavo della trincea, a Galliera Veneta, viene tirato fuori un
morto. Un morto sepolto. E la cosa è assolutamente incredibile.
Un morto non era cosa
poi così incredibile nello scenario di quei giorni.
Un morto in guerra no di certo.
Ma quel morto, fra l’altro sepolto da non molto, è saltato fuori da uno scavo
fatto in mezzo a un campo, dove per caso passava la linea della trincea, in
mezzo a un campo confiscato dall’esercito. Quel morto era stato sepolto lontano
dal cimitero, ovviamente da qualcuno che non voleva si sapesse. Chi era quel
morto? Chi l’aveva sepolto?
Appunto, chi era?
Nessuno l’ha mai saputo. E non
venne fatta neppure nessuna indagine dai carabinieri di Galliera Veneta di quel
tempo.
venerdì 20 ottobre 2017
22 ottobre 1992, a Višegrad va in scena il massacro di Sjeverin
Višegrad,
Valle della Drina, Bosnia orientale: qui dal 19 maggio 1992 comandano i cugini Milan e Sredoje Lukić, sanguinari paramilitari
serbo-bosniaci che, con le loro Aquile bianche, un gruppo di assassini ancora
oggi in larga parte impuniti, impongono alla cittadina e ai villaggi nei
dintorni un regime del terrore e dell’orrore.
I
due cugini si rendono protagonisti di una serie di episodi tremendi e con
operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di
decine di civili all’interno di case private compiono una completa pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che
costituivano il 63 per cento della popolazione locale. Circa tremila
persone vengono uccise e
fatte scomparire.
Il 22 ottobre 1992 sedici
musulmani-bosniaci, quindici uomini e una donna, in viaggio per motivi di
lavoro, sono rapiti sull’autobus di linea serbo che viaggiava da Sjeverin a
Priboj, in Serbia. L’autobus viene fermato dal
gruppo paramilitare serbo-bosniaco delle Aquile bianche, al comando di
Milan Lukić, a circa due chilometri dalla cittadina serbo-bosniaca di Rudo.
Dopo aver controllato i documenti di tutti i passeggeri, i paramilitari
ordinano ai “non-serbi” di scendere dal mezzo. I bosniaci saranno caricati su
un camion davanti al bar Amfora, brutalmente torturati nell’hotel Vilina
Vlas, portati sulla riva della Drina, uccisi e i corpi gettati nel fiume.
L’unico musulmano sull’autobus a salvarsi è Admir Đikić, 13 anni, che ha la
prontezza di riflessi di nascondersi dietro Ilija e Desa Kitić, una coppia di
serbo-bosniaci che gli salvano la vita dichiarandolo loro figlio. La strage dei
passeggeri di Sjeverin è il primo caso in cui i paramilitari serbo-bosniaci
assassinano non dei musulmani-bosniaci cittadini della Bosnia Erzegovina, ma
dei musulmani-bosniaci cittadini serbi. Per i fatti della cosiddetta strage di
Sjeverin a oggi sono stati condannati solo quattro responsabili, ovvero Milan
Lukić, che ha avuto l’ergastolo per la somma dei suoi crimini, Dragutin
Dragićević e Oliver Krsmanović, cui sono stati comminati vent’anni di carcere,
e Đorđe Šević, che ha avuto quindici anni.
Questa e
tante altre vicende sono narrate in Višegrad. L’odio,
la morte, l’oblio (Infinito edizioni, 2017), reportage scritto
sul campo dal giornalista Luca Leone.
Processo Mladić, possibile sentenza di primo grado il 22 novembre
I
giudici del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex
Jugoslavia (Tpi) potrebbero emettere il prossimo 22 novembre la sentenza di
primo grado nell’ambito del processo per genocidio, crimini di guerra e crimini
contro l’umanità istruito contro l’ex capo di stato maggiore serbo-bosniaco, l’ex
generale Ratko Mladić. Ne ha dato notizia lo stesso Tpi.
Per Mladić,
74 anni – da molti ribattezzato “il boia di Srebrenica” o “Il macellaio di
Srebrenica” –, la Procura generale del Tpi ha chiesto la condanna all’ergastolo.
Qualunque
sia la sentenza di primo grado, è quasi certo che il processo contro Mladić non
si concluderà prima della sentenza di appello.
La
latitanza di Mladić, protetta sia da elementi interni alle istituzioni serbe
che serbo-bosniache, si è protratta fino al 26 maggio 2011, quando è stato
arrestato e successivamente estradato a L’Aja. Il processo è cominciato un anno
dopo.
venerdì 13 ottobre 2017
1-5 novembre: Prijedor, Doboj, Brčko, Vukovar, Jasenovac
Motori quasi caldi e gruppo quasi pronto per il viaggio dell'1-5 novembre 2017 a Prijedor, Doboj, Brčko, Vukovar, Jasenovac. E altro ancora, dalla piega molto interessante che sta prendendo l'organizzazione. Ma per ora meglio non scoprire le carte. Con me e Stefano Donà questa volta c'è Silvio Ziliotto, grande amico e traduttore. Incontreremo persone, vedremo luoghi, conosceremo associazioni e alcune pagine della storia europea del Novecento fin qui molto poco narrate. Al momento abbiamo ancora solo 6-7 posti liberi. Se ci fossero persone interessate a venire a fare quest'esperienza, i contatti sono sul volantino presente in questa pagina. Buon fine settimana.
giovedì 12 ottobre 2017
Cinque bambini, un arco e un assassino…: la fotografia dell'Italia di oggi e di domani?
Oggi
in pausa pranzo me ne stavo tranquillo e sereno al campo di tiro con l’arco.
Tranquillo e sereno si fa per dire, perché domenica c’è l’esordio stagionale indoor e l’arco, quando tra infortuni e
trasferte di lavoro non ti alleni da mesi, ti presenta sempre il conto. Un
conto molto salato.
Comunque,
me ne stavo lì, sotto al tunnel, a provare a scoccare dai 18 metri qualche
freccia decente, quando d’improvviso sento un rumore sordo alla mia sinistra.
Stavo per tirare, quindi provo a non farci caso, ma il risultato è un
inevitabile 5. Che diavolo succede? Do un’occhiata fuori e vedo che, affacciati
alla ringhiera sul muretto che divide il campo di tiro con l’arco dalla scuola
materna, c’è un gruppetto di cinque bambini appesi all’ombreggiante.
Spesso
a pranzo è così, quindi non ci faccio caso e vado avanti. O, almeno, ci provo.
Dopo poco un altro rumore sordo, poi ancora. Stanno tirando verso il tunnel – e
verso di me, che me ne sto là dentro – sassi e bastoni. Sono tentato d’uscire
ma decido di lasciar correre, certo che le maestre interverranno. Come non
detto. Non solo i cinque continuano con il lancio di sassi e bastoni, ma uno di
loro urla contro di me una parola terribile: “Assassino”. In vita mia me ne
hanno dette un po’ di tutti i colori, visto anche il lavoro che faccio, ma “assassino”
è la prima volta. Mi ha fatto malissimo. Ho provato ad andare avanti,
confidando nell’intervento delle maestre, ma il linciaggio è continuato, e alla
voce del primo bimbetto via via se ne sono aggiunte un’altra, poi una seconda,
infine una terza: “Assassino”, gridavano a un certo punto in quattro. E poi,
con grida sempre più selvagge, il capobranco: “Muori!”. Solo una vocina fuori
dal coro diceva, flebile: “Non è vero, non è un assassino, lui tira solo con l’arco…”.
Misura
colma: ho posato l’arco, le frecce e sono uscito fuori. Due gesti repentini:
stop ai cinque che tentavano la fuga, secco invito a una delle due maestre – la
più giovane – di avvicinarsi, mentre le più anziana si allontanava. Ho fatto il
mio discorsetto, ho spiegato una serie di cose che credo fondamentali, anche a
uso e consumo della deludente maestra, e me ne sono tornato nel tunnel, ma
ormai le frecce andavano per conto loro e l’unica opzione possibile era
tornarsene al lavoro, amareggiato.
Mi
sono posto delle domande. Mi sono chiesto quanto violente possano essere le
parole del padre di quel bambinetto, la sera a casa o nei fine settimana, per spingere
un’anima ancora comunque candida ad andare in giro a dire certe cose. Con chi
ce l’avrà mai quell’uomo? Chi sono gli assassini? Chi vorrebbe veder morire?
Ma la
cosa più sorprendente è stata, attraverso quei cinque bimbetti e la loro
insegnante, trovarsi impotente – ma fino a un certo punto – di fronte alla
fotografia dell’Italia di oggi e di domani. Il 20 per cento di facinorosi e
forcaioli; il 60 per cento di massa grigia, pavida, vigliacca, omertosa, pronta
a schierarsi un po’ alla volta con chi strilla di più, senza chiedere ragioni; un
20 per cento di società civile che prova a usare l’arma della ragione e del
dialogo, inevitabilmente inascoltata. E le istituzioni che si voltano dall’altra
parte e lasciano stare.
Se
questa è la fotografia del nostro Paese oggi e domani – e purtroppo lo è –
abbiamo davvero poco di cui stare allegri.
Qualcuno
potrà eccepire: non è l’Italia, è tutto il mondo che va così. Beh, ancora
peggio, ancora più preoccupante, se ci pensate… c’è da rimboccarsi parecchio le
maniche…
mercoledì 11 ottobre 2017
Cadorna sapeva: Caporetto 100 anni dopo

La
prima fonte la troviamo nei fatti di Carzano del settembre del ’17. Un maggiore
sloveno, tale Ljudevit Pivko, consegnò all’Italia un piano che, se messo in
atto, in poche mosse, avrebbe potuto far vincere la guerra all’esercito
italiano. Pivko in quel periodo prestava servizio a Carzano, in Valsugana, in
quel momento territorio austriaco. Il maggiore rivelò che la strada fino a Trento
era libera, che Trento stessa era sguarnita di uomini, che il grosso
dell’esercito si stava spostando a est, a Tolmino appunto. L’Austria stava
organizzando la madre di tutte le offensive.
Pivko
ricevette ascolto e si tentò di attuare il suo piano, ma i fatti di Carzano
finirono in tragedia.
Ora,
al di là delle motivazioni di quel fallimento, ciò che ci interessa è
semplicemente lo strascico che quella storia ha avuto, o meglio, che non ha
avuto. Perché anche se quella storia era finita male, a Cadorna rimaneva in
mano la grande informazione. Il grosso dell’esercito austriaco era in faccia a
Caporetto, pronto a sfondare. Non mancava molto. Tuttavia, il generalissimo
rimase immobile.
Non
bastasse, ulteriore conferma dello sfondamento arrivò a Cadorna qualche
settimana più tardi. A metà ottobre un ufficiale ceco, disertore austriaco,
portò l’informazione che un grande contingente germanico si stava organizzando
per un massiccio attacco davanti a Tolmino. Dopo qualche giorno, il 21 ottobre,
altri due disertori, romeni questa volta, portarono addirittura l’ordine di
attacco preciso che l’Austria avrebbe messo in atto.

E
così andarono le cose.
Tutto
quello che fece Cadorna, dopo l’ennesima conferma dello sfondamento imminente,
fu di inviare la brigata Napoli, la sera precedente al 24 ottobre, in località
Foni, esattamente davanti a Tolmino, in direzione Caporetto. Un pugno di uomini
ad arginare un esercito. Al mattino, la brigata Napoli non si fece trovare al
posto designato. Forse la notizia di quanto stava succedendo era in qualche
modo arrivata fino a loro e scelsero di sottrarsi a quel sacrificio inutile. Ma
la storia della brigata Napoli in quella notte non è rilevante. La vera
questione rimane legata a Cadorna.
Qualsiasi
stratega militare, nel mezzo di una guerra tanto maledetta, con un’informazione
tanto chiara fra le mani, avrebbe fatto una sola cosa, difficile anche solo da
pronunciare, ma unica scelta possibile. L’unico ordine militarmente sensato
sarebbe stato quello di bombardare Tolmino con artiglieria pesante, far
disperdere l’esercito nemico, rompere gli schieramenti. Lì c’era un formicaio
di uomini pronto a riversarsi in Friuli. Le linee di tiro erano facili e le
possibilità di riuscita evidenti.
Perché
Cadorna non l’ha fatto? Perché non ha agito?
La
domanda rimane, e rimarrà, forse per sempre, senza una risposta.
Il
racconto dei fatti di Carzano è contenuto nel romanzo Il Battaglione Bosniaco, di Daniele Zanon e Valerio Curcio.
La
storia dei disertori romeni e il perché dell’assenza della brigata Napoli a
Foni, sono i pilastri del romanzo storico Nina nella Grande Guerra, di Daniele Zanon.
martedì 10 ottobre 2017
10 ottobre, Giornata mondiale contro la pena di morte
Il
10 ottobre è una data importante nell’elenco delle ricorrenze da celebrare
perché si ricorda la
Giornata Mondiale
contro la pena di morte, che ha iniziato a essere ricordata nel 2003. L'evento
venne promosso dalla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, che riunisce
organizzazioni non governative internazionali, ordini degli avvocati, sindacati
e governi locali di tutto il mondo.
Nel
nostro Paese l’abolizione della pena di morte era stata prevista già nel 1889
durante il Regno d’Italia, ma la pena capitale fu poi reintrodotta sotto il
regime fascista. L’ultima esecuzione avvenne nel 1947, e la pena di morte fu
abolita dalla Costituzione nel 1948 e, soltanto nel 1994, anche dal codice
militare. Il nostro Paese, comunque, non è il fanalino di coda in Europa: la
Città del Vaticano la rimuove dalla Legge fondamentale soltanto nel 2001,
mentre la Francia la abolisce nel 1981, ma la esclude esplicitamente dalla
Costituzione nei primi mesi del 2007. Il motivo di tale intervento ha lo scopo
di rendere più difficile un suo eventuale reinserimento nel codice penale:
infatti il leader di estrema destra Jean Marie Le Pen aveva proposto di
reintegrarla sia nel 1994, a seguito di gravi fatti di sangue e nel 2004 per gli
atti terroristici.
Attualmente
la pena capitale è ancora applicata in 57 Paesi al mondo mentre 141 Paesi
l’hanno abolita: ci sono diverse associazioni che lottano contro l’abolizione
totale, tra le prime Amnesty
International, che ha patrocinato il lavoro, composto da un libro e un dvd
di e con Marco Cortesi dal titolo L’Esecutore.
Ancora sul tema della pena di morte segnaliamo il Rapporto
2016-2017. La situazione dei Diritti Umani nel mondo, in cui Amnesty
International documenta la situazione
dei diritti umani in 159 Paesi e territori durante il 2016, segnalando gli
Stati dove è ancora in vigore o dove è stata recentemente introdotta per punire
dei reati.
Srebrenica: assolto Naser Orić, la dura reazione serba e serbo-bosniaca
Il
Tribunale di Sarajevo ha assolto, con non poca sorpresa generale, l’ex
comandante paramilitare della difesa di Srebrenica durante l’assedio
serbo-bosniaco, il musulmano bosniaco Naser Orić, dall’accusa di crimini di
guerra contro civili in merito all’omicidio, nel 1992, di tre civili serbo-bosniaci
in tre villaggi siti nei dintorni di Srebrenica. Si tratta dell’ennesima
assoluzione inanellata da Orić nell’ambito dei processi intentati ai suoi danni
in merito alle violenze perpetrate nel 1992 contro civili serbo-bosniaci da
parte di squadre paramilitari musulmano bosniache, dopo che la prima
aggressione serbo-bosniaca a Srebrenica era stata respinta e i musulmani
bosniaci avevano ripreso il controllo della città, sostenendo un assedio che
sarebbe durato fino al luglio del 1995 e si sarebbe concluso con l’omicidio a
sangue freddo di 10.701 maschi musulmano bosniaci di età compresa dai 12 ai 76
anni, nella totale indifferenza dei caschi blu olandesi dell’Onu presenti in
loco.
Dura la
reazione del presidente serbo Aleksandar Vučić, secondo cui “le vite dei serbi
evidentemente non valgono quanto quelle degli altri”. Una reazione scomposta e
priva di visione da parte di un presunto ultranazionalista “pentito” e passato
al campo moderato, che qualcuno già considera un punto di riferimento per la
stabilità della martoriata regione balcanica. Alimentare il senso di persecuzione
del bacino elettorale nazionalista serbo può essere positivo per il futuro
politico di Vučić ma non certo per i già problematici equilibri dell’area. Come
al solito distruttiva la reazione del presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik,
da mesi in difficoltà politica e quindi deciso a entrare a gamba tesa appena
possibile pur di recuperare un po’ di credito politico e prolungare la sua
permanenza sulla poltrona del potere. Dodik ha invitato tutti i serbi a
lasciare le istituzioni statali bosniache, ponendosi di fatto una volta di più
in continuità con le decisioni politiche del criminale di guerra Radovan
Karadžić, condannato lo scorso anno dal Tribunale de L’Aja a quarant’anni di
carcere. Eccessiva anche la reazione delle donne di Srebrenica, che hanno
applaudito e abbracciato Orić, che loro considerano un eroe di guerra ma il cui
operato – e quello dei suoi luogotenenti – a Srebrenica è ancora oggi pieno d’ombre
e meriterebbe un vaglio più approfondito sia da parte della giustizia che da
parte degli storici.
In ogni
caso – e questo è un dato di fatto – sembra non esserci mai pace in Bosnia né
per i vivi né per i morti.
lunedì 9 ottobre 2017
Venezuela, la vicenda del giornalista Roberto Di Matteo
"Adesso
che il nostro collega italiano Roberto Di Matteo, è stato rilasciato dalle autorità
venezuelane, con lo svizzero Filippo Rossi e quello venezuelano Jesus Medina,
tiriamo un sospiro di sollievo”, commenta la nostra autrice, volto del Tg2,
Christiana Ruggeri. “La vicenda di Di Matteo è stata seguita dalla Farnesina
con grande attenzione, così come dalla FNSI, da Articolo 21 e dal sindacato
venezuelano dei cronisti. Il fatto che i tre stessero conducendo
un'inchiesta nel carcere di Tocoron, nello Stato di Aragua, dovrebbe però far
riflettere sul tracollo di questo Paese. Dove almeno 27 penitenziari su 34 non
corrispondono alle normative minime di legge. Dove i cartelli della droga
continuano a imperare quasi indisturbati e a esportare all'estero meglio di
prima. E dove il regime di Maduro tiene prigionieri ancora tremila tra
manifestanti, intellettuali, persone comuni”.
Diventa
sempre più attuale, dunque, la denuncia del libro-reportage pubblicato per la
nostra casa editrice dalla giornalista Ruggeri dal titolo "I Dannati", sul PGV,
nell'Estado Guarico, la prigione gestita dai narcos e da poco parzialmente
smantellata, dove per 20 anni è successa l'ecatombe. “Nel carcere di San Juan de Los Morros pochi mesi fa è
venuta alla luce una grande fossa comune. I pranes sopravvissuti, i
capi narcos, si sono riorganizzati in altri càrcel.
E stanno già facendo parlare di loro".
Il libro:
Titolo: I dannati. Reportage dal carcere venezuelano più pericoloso del mondo
Autrice: Christiana Ruggeri. Prefazione di Riccardo Noury, introduzione di Alessio Scandurra
Titolo: I dannati. Reportage dal carcere venezuelano più pericoloso del mondo
Autrice: Christiana Ruggeri. Prefazione di Riccardo Noury, introduzione di Alessio Scandurra
€
14,00 – pag. 168
Con
il patrocinio di Antigone onlus
domenica 1 ottobre 2017
Infinito edizioni, autunno di fondamentali “conti alla rovescia”
È per
noi importante far sapere ai nostri lettori che, oltre alla consueta
programmazione letteraria autunnale, la nostra casa editrice sta lavorando a
grandi novità. E poiché queste novità si materializzeranno tutte entro la fine
del 2017, da ora partono due importanti conti alla rovescia.
Il
più e fondamentale countdown è quello
che si concluderà esattamente tra 91 giorni, alla fine del 2017, del quale vi
racconteremo diffusamente il 31 dicembre, poiché per la nostra casa editrice si
tratta di una novità di importanza eccezionale.
Il
secondo conto alla rovescia si concluderà invece tra il 21 e il 22 ottobre e
rappresenta, dopo un anno di lavoro, un altro fondamentale tassello, che tutti
potrete apprezzare facilmente.
A
questo si aggiunga che l’8 novembre, tra poco più di un mese, Infinito edizioni
compirà tredici anni di vita ed entrerà nel suo quattordicesimo anno con sempre
più entusiasmo, mentre va ricordato il recente passaggio (in settembre) della
nostra casa editrice con la società di promozione Emme Promozione.
Stiamo
facendo grandi sforzi in un Paese che legge sempre meno perché ci crediamo e
perché non vogliamo farci travolgere dalla mediocrità, che pare essere
diventata il minimo comun denominatore dell’essere italiani, in questi ultimi
anni.
Le
novità servono a dare una scossa positiva ma anche a dare un esempio, o
comunque a provarci: la nostra scelta è da sempre quella di lavorare duro per
dare e proporre il meglio, sperando che i nostri sforzi possano contribuire,
nonostante tutto, nonostante il totale disinteresse e lo snobismo volgare di
tanti politici nazionali e amministratori locali, alla creazione di un Paese
migliore. Nonostante tutto, appunto. E senza il timore di andare ed essere
controcorrente.
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