mercoledì 24 giugno 2015

“Il grande cuore dei bosniaci”: Miralem Pjanić e Srebrenica, vent'anni dopo


Srebrenica, l’11 luglio del 1995. Oltre diecimila maschi tra i 12 e i 76 anni vengono catturati, torturati, uccisi e inumati in fosse di massa. Stesso destino hanno alcune giovani donne abusate dalla soldataglia. Le vittime sono bosniaci musulmani, da oltre tre anni assediati dalle forze ultranazionaliste serbo-bosniache agli ordini di Ratko Mladić e dai paramilitari serbi.
Abbiamo chiesto al calciatore della Nazionale della Bosnia Erzegovina Miralem Pjanić di parlarci dei suoi ricordi di quegli anni.
Quando è scoppiata la guerra in Bosnia avevi due anni, quando è ter­minata ne avevi cinque. Impossibile ricordare direttamente, dunque. Hai trascorso quegli anni, e quelli del dopoguerra, all’estero. Durante la tua crescita, nella tua famiglia, si parlava della guerra? In altre pa­role, quando hai “scoperto” cosa era successo nel tuo Paese durante gli anni della tua infanzia? E che impressione ti ha fatto?
Non ho ricordi della guerra, sono andato via dalla Bosnia nel 1991 e sono tornato per la prima volta nel 1996. Ricordo che i tank a distanza di anni passavano ancora in città per rassicurare la gente… Ero piccolo e impressionato, quando sono cresciuto ho appreso meglio le vicende della storia, è stata una cosa bruttissi­ma, è morta tanta gente. Mi raccontano spesso del genocidio di Srebrenica, una storia molto triste. Un giorno andrò a Srebrenica per vedere e sentire.
Hai giocato con la nazionale Under 18 del Lussemburgo e, in teoria, avresti potuto prendere cittadinanza francese (eri arrivato al Metz an­cora minorenne) e sicuramente saresti diventato una colonna di quella nazionale. Cosa ti ha spinto a giocare nella “tua” nazionale?
È vero, avevo la possibilità di giocare sia per la Francia sia per il Lussemburgo. Ma a spingermi è stato il mio cuore. Sognavo di aiutare il mio Paese a diventare calcisticamente forte come gli altri. Volevo che si parlasse bene della Bosnia. Volevo donare un sorriso alla gente. La gente bosniaca ha sofferto tanto. I calciatori sono amati e ogni volta che vengo chiamato do il massimo per vincere. Penso e spero che i tifosi possano dimenticare per qualche ora i problemi della quotidianità e divertirsi un po’, quando giochiamo.
Della nazionale della Bosnia Erzegovina fanno parte calciatori ap­partenenti alle diverse comunità del Paese. Come sono i rapporti perso­nali? Il tema di una guerra terminata meno di vent’anni fa influisce? Avete mai parlato di Srebrenica?
Lo sport unisce le persone. È così anche da noi, non c’è mai stato nessun problema. Tutti coloro che vengono a giocare per la Bosnia sono i benvenuti. L’unica cosa che conta è che vogliano il bene della Nazionale. Onestamente non parliamo troppo di quello che è accaduto. Ogni tanto ascoltiamo i racconti di qualche giocatore cresciuto in Bosnia durante la guerra. Non deve essere stato facile per loro…

Il testo di Pjanić è raccolto interamente in Srebrenica. La giustizia negata, e può essere liberamente utilizzato dalla stampa a questo link citando la fonte ©Infinito edizioni – 2015. 
Srebrenica. La giustizia negata  è il lavoro di Riccardo Noury e Luca Leone i quali penetrano nel buco nero della guerra e del dopoguerra bosniaco e nel vuoto totale di giustizia che ha seguito il genocidio di Srebrenica, una delle pagine più nere della storia europea del Novecento e sicuramente la peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale.