Leggo
il mittente e mi viene un sussulto: Ufficio del turismo della Malesia.


Apro
la busta e… dentro trovo istruzioni, contatti, ringraziamenti, complimenti,
ogni altro ben di dio e… i biglietti di andata e di ritorno.
Non
ci credo. Non è aprile, ma in un giornale non si sa mai. Telefono. Mi
confermano tutto. E mi ringraziano pure.
Parto
prima di Pasqua e torno esattamente quella domenica.

Così
partii, per un viaggio di ripicca nei confronti dell’azienda che non mi pagava,
al termine del quale mi ritrovai con un’esperienza umana e professionale
notevole, con l’Ufficio del turismo arrabbiato perché non avevo scritto
“marchette” sul giornale ma, in parecchi articoli, pubblicati tra Italia e
Svizzera, la verità di quel che vedevo (non avevano messo in preventivo che un
giornalista non embedded, come nel mio caso, non ha problemi a scavalcare il
muro di cinta di un resort, a passare in mezzo a un campo da golf con una
partita in corso e ad andarsi a infilare in un villaggio di palafitte in cui
vivono i reietti della società, ricavandone immagini e sensazioni terribili,
che poi vanno per forza raccontate, se si vuole rimanere liberi e indipendenti)
e con un’idea che ancora non nasceva, ma macerava e forse cominciava a voler
spuntare fuori. Comunque, in questo post pubblico qualche foto fatta nel
villaggio su palafitte in cui vivevano i reietti del Sabah, in larga parte
migranti che fornivano lavoro a basso costo all’occorrenza. Ma che vivevano in
condizioni igieniche spaventose, scaricando nell’acqua salmastra sotto i loro
piedi ciò che avrebbero riutilizzato per sciacquare le verdure che avrebbero
mangiato. Ma pensate a una distesa d’acqua nera punteggiata di palafitte e di
fenicotteri rosa…