“Purtroppo
oggi la negazione del genocidio di Srebrenica è diventata molto comune, ma
dobbiamo sperare che sia a Belgrado sia a Banja Luka quel crimine venga
finalmente riconosciuto in modo ufficiale”: è quanto ha detto al quotidiano
sarajevese Oslobođenje il procuratore
capo del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex
Jugoslavia (Tpi), Serge Brammertz, aggiungendo che “il genocidio rappresenta la
questione più sensibile per le vittime, in special modo per i famigliari degli
uomini e dei ragazzi uccisi e per i 30.000 anziani, donne e bambini scacciati
dalle loro case.
Le
solite schermaglie in vista dell’11 luglio, data in cui il mondo dovrebbe
fermarsi per ricordare il genocidio di Srebrenica, perpetrato dall’esercito
serbo-bosniaco e dai paramilitari serbi e greci davanti ai caschi blu inermi ai
danni di un numero a oggi ancora imprecisato di maschi dai 12 ai 76 anni, ma
comunque non inferiore alle diecimila persone. Qualcuno si aspetta un segnale
dal neo-moderato ed ex-ultranazionalista presidente serbo Alexandar Vučić, la
cui presunta moderazione è legata a interessi contingenti piuttosto che a una
reale convinzione personale. Impensabile invece che il presidente dell’entità
amministrativa della Repubblica serba di Bosnia, Milorad Dodik, faccia un passo
del genere, essendo lui il leader massimo
e riconosciuto del negazionismo in chiave serba. E a fine anno il Tpi chiuderà
i suoi battenti, mentre ancora almeno 16.000 criminali girano a piede libero
senza aver pagato per gli orrori commessi durante i conflitti balcanici tra il
1991 e il 1999.