La
bravissima scrittrice bergamasca – ma innamorata anche di Lanciano e dell’Abruzzo
– Elena Maffioletti mi ha fatto l’onore
d’essere presente a inizio maggio alla presentazione del mio nuovo libro, Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, a
Lanciano, presso la Libreria D’Ovidio
del comune amico Giorgio Ranalli.
Elena durante
l’incontro pubblico ha avuto anche la squisitezza di leggere una pagina tratta
da Višegrad, ma è stata attratta magneticamente da un altro mio libro, I bastardi di Sarajevo, che sfogliava e
leggiucchiava durante la presentazione.
Alla
fine, la sorpresa: ha acquistato il libro, l’ha letto e mi ha mandato una sua
personalissima recensione, che ho l’immenso piacere di condividere ora con chi
vorrà trarne beneficio. Buona (breve ma intensa) lettura!
Ciao
Luca,
eccomi a riprendere i fili del
nostro incontro in libreria, e anche quello di sintonie che spesso sono
il preludio ad amicizie preziose.
Ho terminato ieri sera (anzi, stanotte) la lettura de I bastardi di Sarajevo. Sono sorpresa. Che il libro fosse “duro” lo sapevo, sia per averlo velocemente sfogliato, sia per aver raccolto le impressioni di un’altra tua lettrice a Giulianova. Quindi non è di questo che si tratta, o almeno non nello specifico. Creare un romanzo “d’informazione” non è per niente facile, e tu lo hai fatto con grande naturalezza. L’uso del dialogo è calibratissimo e i personaggi ne vengono fuori a sbalzo in maniera davvero efficace. La scelta del discorso diretto tout-court era pericolosa, ma a me sembra che tu l’abbia governata benissimo. Le molte anime dello scrittore viaggiano dietro le quinte a tutto vantaggio del romanzo, dando vita non solo a una denuncia ma anche a una tipologia umana molto diversificata e coerente con le proprie premesse. Mi piacciono in particolare le donne: Emina, Azra e Fata sono a tutto tondo. Il diario di Fatima è quanto di più femminile potesse essere immaginato nella sua dignità umana, nella voce sussurrata della vittima che resta aggrappata alla vita altrui per trovare la forza di continuare a vivere la propria. Sono convinta che uno dei compiti più difficili, per chi scrive, sia creare personaggi di sesso diverso dal proprio e renderli credibili. Ho letto di recente il libro di uno scrittore attualmente in voga, dove la protagonista era così smaccatamente il suo alter ego da presentare caratteristiche prettamente mascoline. Altamente irritante, almeno per me, soprattutto perché chiaro sintomo di autoreferenzialità. I tuoi personaggi, invece, nella loro durezza e nella drammaticità delle circostanze, sono vivi e autonomi proprio perché li hai “abitati” lasciandoli liberi.
Ho terminato ieri sera (anzi, stanotte) la lettura de I bastardi di Sarajevo. Sono sorpresa. Che il libro fosse “duro” lo sapevo, sia per averlo velocemente sfogliato, sia per aver raccolto le impressioni di un’altra tua lettrice a Giulianova. Quindi non è di questo che si tratta, o almeno non nello specifico. Creare un romanzo “d’informazione” non è per niente facile, e tu lo hai fatto con grande naturalezza. L’uso del dialogo è calibratissimo e i personaggi ne vengono fuori a sbalzo in maniera davvero efficace. La scelta del discorso diretto tout-court era pericolosa, ma a me sembra che tu l’abbia governata benissimo. Le molte anime dello scrittore viaggiano dietro le quinte a tutto vantaggio del romanzo, dando vita non solo a una denuncia ma anche a una tipologia umana molto diversificata e coerente con le proprie premesse. Mi piacciono in particolare le donne: Emina, Azra e Fata sono a tutto tondo. Il diario di Fatima è quanto di più femminile potesse essere immaginato nella sua dignità umana, nella voce sussurrata della vittima che resta aggrappata alla vita altrui per trovare la forza di continuare a vivere la propria. Sono convinta che uno dei compiti più difficili, per chi scrive, sia creare personaggi di sesso diverso dal proprio e renderli credibili. Ho letto di recente il libro di uno scrittore attualmente in voga, dove la protagonista era così smaccatamente il suo alter ego da presentare caratteristiche prettamente mascoline. Altamente irritante, almeno per me, soprattutto perché chiaro sintomo di autoreferenzialità. I tuoi personaggi, invece, nella loro durezza e nella drammaticità delle circostanze, sono vivi e autonomi proprio perché li hai “abitati” lasciandoli liberi.