“Mah, un altro libro sulla Bosnia ? Si, ho capito, è stata una guerra tremenda, ma
perché parlarne ancora? Ci sono fatti nuovi ? Questo Luca Leone non sa parlare
d’altro, abbiamo anche bisogno di mettere una pietra sopra a quei morti, a
quelle vittime; abbiamo bisogno di riconciliarci con il passato e di aiutare
quella società a riconciliarsi. Che senso ha nel 2017 ripercorrere fatti
avvenuti almeno venticinque anni fa? E poi, perdonami, io non riesco a leggere
di nuovo le cose terribili che sono accadute, mi sembrano quasi non vere… non
che le neghi, per carità, ma non mi sembrano poter essere accadute, tanto sono
dure…”.
Ecco, queste sono cose che ho sentito dire
anche da persone sensibili e attente ai problemi quando è uscito il nuovo
lavoro di Luca Leone: Višegrad, l’odio, la morte, l’oblio. Mi sono
preoccupato molto perché dentro quelle poche parole che ho riportato c’è tutto
il male che l’oblio e, peggio, il fenomeno del negazionismo può portare insieme
al tempo che passa. Che siamo umanamente stanchi ma anche indignati per un
nuovo capitolo aperto da Luca, quello di Višegrad nel 1992, è
vero, ma questo non può che essere altro che un motivo per moltiplicare le
nostre forze contro l’impunità verso chi ha commesso quelle terribili violenze.
Chi ha seguito i fatti anche recenti della Bosnia Erzegovina non si stupisce più
di tanto di scoprire nuovi accadimenti.
Scrivere qualcosa sul libro di Luca è bello
ma non è facile. Luca è un amico, un compagno di viaggio, mi spingo a dire che
è sicuramente un attivista per i Diritti Umani che con noi lavora e collabora. È
molto bello scriverne, perché anche quest’ultimo lavoro lega un filo rosso che
sulla Bosnia collega Luca al mondo esterno e a tutti noi.
Dai libri sulla “vergogna di Srebrenica”
(ultimo episodio in ordine temporale della guerra di Bosnia) Luca ha voluto
accendere una luce su uno dei primi episodi di pulizia etnica. Era il 1992 a Višegrad,
scorreva pacifica la Drina, che purtroppo diventerà una grande tomba. Il
racconto, soprattutto all’inizio del libro, è stringente su come il clima in
quella primavera-estate del 1992 stava cambiando, casa per casa. La gente è
morta anche perché non ha creduto che tutto quello che poi è accaduto fosse un
rischio reale, una pianificazione a tavolino. Višegrad racconta
quanto di più feroce i cugini Lukić e altri hanno
commesso. Ma tiene il focus su una delle violazioni più tremende compiute in
Bosnia in quel periodo: l’uso dello stupro come arma di guerra, l’eliminazione
e umiliazione di un avversario inerme. Ecco, quelle donne ORA chiedono a noi
giustizia, chiedono riparazione a una giustizia internazionale ancora
imperfetta che le ha messe a vivere vicino ai loro carnefici, che sono
l’attuale postino, il funzionario comunale, il vigile urbano. Le donne di Višegrad
sicuramente non hanno dimenticato i loro occhi e sono il Tribunale più attuale
che possa esserci. Chiedono giustizia perché le conseguenze sono nei loro corpi
e nelle loro menti, spesso con pesanti invalidità fisiche, inabili a un
qualsiasi lavoro, vittime della “sindrome post traumatica” e dello stigma
sociale. Amnesty International ha svolto e svolge una grande campagna contro
l’impunità ed esprime ogni giorno la sua preoccupazione affinché le luci sul
Tribunale internazionale de L’Aia non si spengano dopo la prossima imminente (e
auspicabile) condanna di Ratko Mladić, ed è molto
scettica sullo spostamento di tutti i procedimenti per crimini di guerra e
contro l’umanità che sono ancora in piedi verso le corti domestiche per il
rischio equità, fattore fondamentale che il processo dovrebbe avere: minacce ai
giudici, ai testimoni etc.
La bellezza del tratto di Luca è sempre la
stessa, delicato e fermo, corredato di tante icone positive che non hanno
ancora archiviato le loro lotte, e di una nuova generazione che sorride.
Sorriso che si scontra con il rancore represso dei padri intriso di vergogna e
protezione. Nel raccontare le nefandezze compiute nell’albergo Vilina Vlas Luca ci racconta il suo
vissuto nel ritornare in quei luoghi. Che esistono ancora, senza qualcosa che
ricordi quei giorni, con gli stessi quadri nonostante tutto. E se domandi non
avrai risposte dalla generazione che non può non sapere che cosa è accaduto. Lo
stesso negazionismo che piano avanza, richiesto dalle nostre coscienze. Ci sono
tante belle persone e personaggi positivi nel libro: Lady Wiesenthal-Bakira Hašečić
che, come Simon Wiesenthal, ma con molti meno mezzi, dà ancora la caccia ai
criminali di guerra serbo-bosniaci; l’esperienza di Kim Vercoe, attrice
australiana che dopo un viaggio a Višegrad decide di
farne uno spettacolo teatrale che diventerà un film; la storia di Lejla; quella
del presidente della Commissione federale per le persone scomparse, Amor Mašović,
che ancora lotta per dare un nome agli “scomparsi” e ai poveri resti umani delle
fosse comuni della Bosnia. Su tutto scorrono le parole di Ivo Andrić
e il suo Ponte sulla Drina, fiume che
porta con sé un silenzioso carico di dolore.
Oltre a invitarvi a leggerlo e a entrare
dentro a questo libro, ringrazio Luca Leone per questo ulteriore lavoro perché
abbiamo bisogno di “testimoni” che ancora vanno nei luoghi, osservano e
raccontano; ne abbiamo bisogno perché abbiamo la triste consapevolezza che le
violazioni dei Diritti Umani si possono ripetere, se non si persegue la strada
della lotta all’impunità. I libri di Luca, e Višegrad, l’odio, lamorte, l’oblio
fra essi, oltre a essere belli sono per noi un importante strumento di lavoro e
uno stimolo per continuare a lavorare contro le violazioni dei Diritti Umani
passate e presenti e per evitare quelle future.
Grazie Luca!
Paolo Pignocchi
Vice Presidente Amnesty International
Italia