Il
presidente del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex
Jugoslavia (Tpi), il maltese Carmel Agius, è stato ieri in visita a Sarajevo e
in particolare al Museo dei crimini contro l’umanità e del genocidio, che sorge
nel centro della capitale bosniaco erzegovese. “Bisogna guardare avanti – ha detto
tra l’altro, Agius, presidente del Tpi dal 2015, le cui parole sono state
riportate dall’agenzia Fena – ma non si
deve dimenticare il passato. Per questo è importante rispettare e ricordare
tutti coloro i quali hanno perso la vita durante la guerra” del 1992-1995. Un
discorso che, una volta di più, sarà andato di traverso a parecchi nazionalisti
e neo-fascisti di tutti e tre i gruppi nazionali maggioritari in Bosnia
Erzegovina, nell’ordine musulmani-bosniaci, serbo-bosniaci e croato-bosniaci.
Agius
ha inoltre confermato che a fine anno il Tpi chiuderà i suoi battenti. Il
presidente del Tribunale ha espresso parere positivo sull’operato dell’organismo
internazionale, pur ricordando, correttamente, che “ancora migliaia di
responsabili di crimini girano liberamente per la Bosnia, la Serbia e la
Croazia, anche se non era nostro compito processarli tutti: ora spetta a questi
Paesi assicurarli alla giustizia”. Il che, va detto, se non è stato fatto fino
a oggi, difficilmente sarà fatto negli anni a venire, in particolare ma non
solo da un Paese come la Croazia, che ormai ha ottenuto quel che voleva, ovvero
l’ingresso nell’Unione europea, unica vera materia di scambio a suo tempo
possibile per costringere Zagabria a una vera lotta contro l’impunità.
La
chiusura del Tpi, da anni richiesta da alcuni potenti Paesi, è in realtà una
sconfitta per tutti, come una sconfitta ha rappresentato il lavoro claudicante
e incerto che il Tribunale ha potuto o dovuto fare durante i ventiquattro anni
della sua esistenza, e in particolare dal 2010 a oggi. Il Tpi continuerà in
realtà ancora ad esistere come “meccanismo residuale”, ovvero come organo
internazionale che porterà a termine i procedimenti ancora in corso – in
particolare i due gradi di giudizio contro Ratko Mladić e il processo d’appello
contro Radovan Karadžić. Spetterà invece, come detto da Agius, alle procure e
ai tribunali nazionali bosniaco, serbo e croato dare la caccia alle migliaia di
paramilitari e criminali di vario genere ancora liberi, ma in effetti il
bassissimo livello del lavoro di questi ultimi due decenni non fa di certo ben
sperare.