lunedì 26 giugno 2017

Il libro e Narciso: riflessione di un libraio

Pubblico a seguire un'interessante riflessione di uno dei maggiori e più noti librai del Meridione italiano.

Coerentemente, credo sia giusto provare a ragionare sul narcisismo del nostro tempo – seppur sommariamente – partendo proprio dall'immagine di noi che abbiamo più cara e dal contesto che conosciamo meglio.
Nel mio caso, quella di un libraio che si aggira curioso intorno all’oggetto del suo fare: il libro, appunto.
Un prodotto dell’ingegno umano che ha permesso – nelle diverse forme evolute di papiro, pergamena e carta – la conservazione di fonti riscontrabili di saperi e la loro trasmissione per coevi e posteri della nostra specie.
Un’evidenza per tutte le epoche e che in questa, caratterizzata dall’iperproduzione di merci e immagini, si complica in virtù del bisogno sociale di rappresentazione e del rappresentarsi. Esigenza che sembra dominare i rapporti odierni tra gli individui e il mondo, coinvolgendo e modificando anche l’intrinseco significato sociale dello scrivere e, quindi, del libro.
In effetti, se scrivere un libro fosse semplicemente una maniera per sancire la memoria di un fatto, di un’idea, di una storia, di un’intuizione articolata che si creda meriti ricordo esemplare e riferimento consultabile d’una verità, si pubblicherebbero i circa centosettanta titoli al giorno editi oggi in Italia?
Più o meno cinquemila al mese.
Grosso modo sessantamila all’anno.
Tanti.
Troppi per un Paese con uno dei più bassi indici di lettura in Europa.
E troppi anche per le capacità di immagazzinamento ed esposizione delle librerie, ma anche dei reparti librari all’interno di altri esercizi (supermarket urbani, store autostradali, centri commerciali, edicole, etc.).
Le vetrine traboccano di nuovi titoli e il turn over (la velocità di rotazione della merce, per dirla nel gergo aziendale) è la bestia nera di ogni gestore.
L’obsolescenza dei titoli non best seller e non long seller – insomma la maggior parte – è scandita al ritmo di dieci/ venti giorni al massimo. E, comunque, fino a quando non si debba far spazio a nuovi titoli lanciati sul mercato.
Una questione parzialmente risolta dalla diffusione dei megabookstore e dall’infinita disponibilità delle librerie online, in contatto virtuale con l’universo mondo del libro senza  spazio alcuno (se non in termini di byte), sia per acquisti fisici (i volumi arrivano anche in 24 ore con Amazon) che scaricabili immediatamente come e-book.
Ma è nelle librerie, eredi degli antichi cubicoli per lettori appassionati, che si compie il triste destino comune alla biblioteca d’Alessandria.
Laddove la furia distruttiva delle religioni e delle guerre depauperava patrimoni incommensurabili di sapere concretato nella scrittura, oggi è la necessità di mercato a dirigerne al macero le masse informi di cellulosa.
Ma cosa cela questa realtà, da un punto di vista che ne possa svelare relazioni col tema del narcisismo?
A tal proposito, se il libro fosse unicamente un contenitore di saperi e narrazioni, non avrebbe alcuna logica perseverare nella pubblicazione di libri cartacei, a maggior motivo se distribuiti in luoghi fisici come le librerie.
Per darne ragione non si può prescindere dalle caratteristiche attuali che legano soggetto (Autore), luogo/tramite (Libreria), uomo/tramite (Libraio), oggetto (Libro), fruitore (Lettore).
La scrittura di un libro è un’abilità umana considerata nobile. Ma non tout court: in fondo tutti sanno scrivere, sebbene solo alcuni siano in grado di scrivere libri.
Al di là dei contenuti, il solo fatto di aver scritto un libro permette all’Autore – quindi – di specchiare la sua immagine in un mare/mondo sociale che ne staglia positivamente il profilo.  Con implicazioni ineluttabili sul piano dell’autofascinazione e del riconoscimento pubblico conseguente, appunto, alla pubblicazione del suo libro.
Un elemento di distinzione non da poco per un’umanità di generici consumatori.
Come sfuggire ai richiami di un’appartenenza così esclusiva? Esclusiva e celebrata in un “tempio” esemplare: la Libreria.
Un luogo di culto sincretico dove l’atto del consumo – l’acquisto dell'oggetto (Libro) – coniuga l’eccezione umana del soggetto (Autore) alla normalità del comune scambio mercantile con il fruitore (Lettore).
Uno specifico “sacro”, officiato peraltro da un altrettanto specifico “sacerdote”, il Libraio, uomo/tramite che ne negozia ritmi e modalità.
La Libreria si configura, in questo contesto, luogo/tramite di uno scambio simbolico tra chi si rappresenta ed è riconosciuto come campione dell’umano e chi si rappresenta e vuole essere riconosciuto capace d’apprezzarne la specialità. Diventando anch’egli, quest’ultimo – il fruitore (Lettore) – elemento fondamentale di un gioco delle parti senza il quale la scena del suo specifico consumo, il suo voler apparire e il suo sembrare, non avrebbe senso.
Cosa, se non questo, dovrebbe validare la sussistenza della Libreria come luogo di incontro tra offerta e domanda che, in una dimensione puramente economica, per la dicotomia spazi/produzione e contraddizioni di mercato, sarebbe ingiustificata?
Ma si sa, il passo tra la scena e l’osceno è brevissimo. Un confine superato a piè pari dagli ortodossi di un marketing brutale, capace di trasformate quel “tempio” – la Libreria – in cui il consumo è rito distintivo di qualità umane riconosciute, in bookstore generalisti. Sacrificandone, così, nella caotica indifferenziazione qualitativa e quantitativa anche di altre merci, l’elemento chiave, distintivo del suo essere “negozio simbolico”. Luogo di scambio tra  istanze umane di cui il libro è simulacro specifico, significante di rapporti d’apparenza e di rappresentazione sociale in cui i rimandi di senso legati a Narciso “riflettono” ben oltre la sua semplice immagine e la limitatezza di questa – appunto – riflessione.
Pino Sassano
libraio in Cosenza