Pubblico a seguire un'interessante riflessione di uno dei maggiori e più noti librai del Meridione italiano.
Coerentemente, credo sia giusto provare a ragionare sul narcisismo del nostro tempo – seppur sommariamente – partendo proprio dall'immagine di noi che abbiamo più cara e dal contesto che conosciamo meglio.
Nel
mio caso, quella di un libraio che si aggira curioso intorno all’oggetto del
suo fare: il libro, appunto.
Un prodotto
dell’ingegno umano che ha permesso – nelle diverse forme evolute di papiro,
pergamena e carta – la conservazione di fonti riscontrabili di saperi e la loro
trasmissione per coevi e posteri della nostra specie.
Un’evidenza
per tutte le epoche e che in questa, caratterizzata dall’iperproduzione di
merci e immagini, si complica in virtù del bisogno sociale di rappresentazione
e del rappresentarsi. Esigenza che sembra dominare i rapporti odierni tra gli
individui e il mondo, coinvolgendo e modificando anche l’intrinseco significato
sociale dello scrivere e, quindi, del libro.
In effetti,
se scrivere un libro fosse semplicemente una maniera per sancire la memoria di
un fatto, di un’idea, di una storia, di un’intuizione articolata che si creda
meriti ricordo esemplare e riferimento consultabile d’una verità, si
pubblicherebbero i circa centosettanta titoli al giorno editi oggi in Italia?
Più o
meno cinquemila al mese.
Grosso
modo sessantamila all’anno.
Tanti.
Troppi
per un Paese con uno dei più bassi indici di lettura in Europa.
E
troppi anche per le capacità di immagazzinamento ed esposizione delle librerie,
ma anche dei reparti librari all’interno di altri esercizi (supermarket urbani, store autostradali, centri commerciali, edicole, etc.).
Le
vetrine traboccano di nuovi titoli e il turn
over (la velocità di rotazione della merce, per dirla nel gergo aziendale) è
la bestia nera di ogni gestore.
L’obsolescenza
dei titoli non best seller e non long seller – insomma la maggior parte –
è scandita al ritmo di dieci/ venti giorni al massimo. E, comunque, fino a
quando non si debba far spazio a nuovi titoli lanciati sul mercato.
Una
questione parzialmente risolta dalla diffusione dei megabookstore e dall’infinita disponibilità delle librerie online, in contatto virtuale con l’universo
mondo del libro senza spazio alcuno (se
non in termini di byte), sia per
acquisti fisici (i volumi arrivano anche in 24 ore con Amazon) che scaricabili immediatamente come e-book.
Ma è
nelle librerie, eredi degli antichi cubicoli per lettori appassionati, che si compie
il triste destino comune alla biblioteca d’Alessandria.
Laddove
la furia distruttiva delle religioni e delle guerre depauperava patrimoni incommensurabili
di sapere concretato nella scrittura, oggi è la necessità di mercato a
dirigerne al macero le masse informi di cellulosa.
Ma
cosa cela questa realtà, da un punto di vista che ne possa svelare relazioni
col tema del narcisismo?
A tal
proposito, se il libro fosse unicamente un contenitore di saperi e narrazioni,
non avrebbe alcuna logica perseverare nella pubblicazione di libri cartacei, a
maggior motivo se distribuiti in luoghi fisici come le librerie.
Per
darne ragione non si può prescindere dalle caratteristiche attuali che legano soggetto
(Autore), luogo/tramite (Libreria), uomo/tramite (Libraio), oggetto (Libro), fruitore (Lettore).
La
scrittura di un libro è un’abilità umana considerata nobile. Ma non tout court: in fondo tutti sanno
scrivere, sebbene solo alcuni siano in grado di scrivere libri.
Al di
là dei contenuti, il solo fatto di aver scritto un libro permette all’Autore – quindi – di specchiare la sua
immagine in un mare/mondo sociale che ne staglia positivamente il profilo. Con implicazioni ineluttabili sul piano
dell’autofascinazione e del riconoscimento pubblico conseguente, appunto, alla
pubblicazione del suo libro.
Un
elemento di distinzione non da poco per un’umanità di generici consumatori.
Come
sfuggire ai richiami di un’appartenenza così esclusiva? Esclusiva e celebrata
in un “tempio” esemplare: la Libreria.
Un
luogo di culto sincretico dove l’atto del consumo – l’acquisto dell'oggetto (Libro) – coniuga l’eccezione umana del
soggetto (Autore) alla normalità del
comune scambio mercantile con il fruitore (Lettore).
Uno
specifico “sacro”, officiato peraltro da un altrettanto specifico “sacerdote”, il
Libraio, uomo/tramite che ne negozia
ritmi e modalità.
La Libreria si configura, in questo
contesto, luogo/tramite di uno scambio simbolico tra chi si rappresenta ed è
riconosciuto come campione dell’umano e chi si rappresenta e vuole essere
riconosciuto capace d’apprezzarne la specialità. Diventando anch’egli, quest’ultimo
– il fruitore (Lettore) – elemento
fondamentale di un gioco delle parti senza il quale la scena del suo specifico
consumo, il suo voler apparire e il suo sembrare, non avrebbe senso.
Cosa,
se non questo, dovrebbe validare la sussistenza della Libreria come luogo di incontro tra offerta e domanda che, in una
dimensione puramente economica, per la dicotomia spazi/produzione e contraddizioni
di mercato, sarebbe ingiustificata?
Ma si
sa, il passo tra la scena e l’osceno è brevissimo. Un confine superato a piè
pari dagli ortodossi di un marketing
brutale, capace di trasformate quel “tempio” – la Libreria – in cui il consumo è rito distintivo di qualità umane
riconosciute, in bookstore
generalisti. Sacrificandone, così, nella caotica indifferenziazione qualitativa
e quantitativa anche di altre merci, l’elemento chiave, distintivo del suo
essere “negozio simbolico”. Luogo di scambio tra istanze umane di cui il libro è simulacro
specifico, significante di rapporti d’apparenza e di rappresentazione sociale in
cui i rimandi di senso legati a Narciso “riflettono” ben oltre la sua semplice
immagine e la limitatezza di questa – appunto – riflessione.
Pino Sassano
libraio in Cosenza