Di nuovo un
anniversario, di nuovo il dovere morale di ricordare affinché questo non accada
più; di nuovo eventi da organizzare per coinvolgere la distratta opinione
pubblica. A vent’anni dal genocidio come raccontarlo oggi che la memoria sfuma,
come rendere attuale e rivivere quelle ferite, quegli scomparsi che il mondo
dimentica così facilmente?
Come?
Per noi è una ferita aperta che solo il completamento
del percorso della giustizia nei confronti dei colpevoli riuscirà a lenire. È una ferita che si apre
ogni anno, come una questione mai risolta. Guardo il mare dalla finestra e
penso che è lo stesso mare, un piccolo mare, attraverso il quale si arriva in
Bosnia, che divide noi da loro, il nostro dolore da quello eterno delle madri e
figlie di Srebrenica, dalle nostre colpe. Un piccolo tratto d’acqua che non ci
ha permesso di fermare questo e altri genocidi.
Le famiglie delle oltre 8.000 persone uccise nel
genocidio di Srebrenica attendono ancora giustizia e riparazione, mentre
presunti responsabili continuano a vivere nelle stesse comunità delle loro
vittime e dei loro familiari. In Bosnia Erzegovina, questo è un momento molto sentito per commemorare le vittime del genocidio, ma anche tutti coloro che furono uccisi
e che scomparvero durante la guerra in
Bosnia del 1992-‘95. Una risoluzione
del Parlamento Europeo ha sancito ufficialmente l’11 luglio come Giornata di Commemorazione del genocidio in tutta l'Unione europea.
Fra il 10 e l’11 luglio 1995, sul finire della guerra in Bosnia Erzegovina, le forze serbo-bosniache attaccarono l'enclave di Srebrenica, dichiarata "zona protetta" dalle Nazioni unite in cui migliaia di musulmani bosniaci avevano trovato rifugio. Dopo la presa di Srebrenica, i militari separarono dal resto della popolazione per poi uccidere deliberatamente almeno 8.000 uomini e ragazzi bosniaco-musulmani (le stime ufficiali parlano di 8.372), seppelliti in fosse comuni sparse per centinaia di chilometri; molti di questi corpi non sono ancora stati ritrovati.
Fra il 10 e l’11 luglio 1995, sul finire della guerra in Bosnia Erzegovina, le forze serbo-bosniache attaccarono l'enclave di Srebrenica, dichiarata "zona protetta" dalle Nazioni unite in cui migliaia di musulmani bosniaci avevano trovato rifugio. Dopo la presa di Srebrenica, i militari separarono dal resto della popolazione per poi uccidere deliberatamente almeno 8.000 uomini e ragazzi bosniaco-musulmani (le stime ufficiali parlano di 8.372), seppelliti in fosse comuni sparse per centinaia di chilometri; molti di questi corpi non sono ancora stati ritrovati.
Quanto successo
a Srebrenica vent’anni fa è stato descritto come la peggiore atrocità commessa
in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale ed è stato riconosciuto come
genocidio dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia e dalla Corte
Internazionale di Giustizia.
Alcuni dei
responsabili dei crimini commessi a Srebrenica, compresi l’ex leader serbo bosniaco Radovan Karadzic e
il generale serbo bosniaco Ratko Mladic, sono comparsi davanti al Tribunale per
rispondere delle accuse a loro rivolte. La mancanza di “volontà politica” – dichiarò
Carla Del Ponte, ex Procuratore Capo del Tribunale per i Crimini di guerra
nella ex Jugoslavia, – non ha permesso di arrestarli molto tempo prima. La
Corte di Stato della Bosnia Erzegovina continua a perseguire i crimini di
diritto internazionale commessi durante la guerra. Tuttavia, gli attacchi
verbali contro il sistema giudiziario e la
negazione di questi crimini, compreso il genocidio di Srebrenica, da
parte di politici del Paese e intellettuali, minano gli sforzi per indagare e
perseguire i presunti autori di questi reati e continuano a vanificare il
diritto delle vittime alla giustizia, alla verità e alla riparazione.
La guerra si concluse quasi vent’anni fa nel dicembre 1995 ma, secondo gli ultimi dati,
oltre 8.000 persone sono ancora disperse nel Paese, dalla fine della guerra. Ciò equivale a
un’"altra" Srebrenica. Il destino e la sorte
di queste persone scomparse, non
è stato chiarito, e i loro familiari non
hanno avuto accesso alla verità, alla giustizia e alla
riparazione.
Una legge sulle persone “scomparse” in
Bosnia Erzegovina è stata adottata nell’ottobre 2004, nulla però è stato fatto
fatto per dare seguito al provvedimento. Chiediamo che la Bosnia Erzegovina
non interrompa la ricerca e l’identificazione delle persone
scomparse in tutto il territorio nazionale. La legge del 2004 riconosce i diritti sociali ed economici delle
famiglie delle persone scomparse e obbliga lo Stato a creare un Fondo per il sostegno
delle famiglie degli scomparsi. Il Fondo avrebbe dovuto essere attivo entro
30 giorni dalla legge entrata in vigore nel 2004.
Nel marzo 2012, la Bosnia Erzegovina
ha ratificato la Convenzione
Internazionale per la protezione di tutte le persone dalle “sparizioni forzate”. Nell’agosto
2014, la Bosnia Erzegovina ha firmato una dichiarazione evidenziando la
responsabilità delle autorità statali
per affrontare il problema degli
scomparsi e la necessità di garantire
che i meccanismi e i metodi utilizzati siano conformi alle norme sui diritti umani. Al di là delle dichiarazioni politiche e della ratifica della Convenzione Internazionale,
lo Stato della BiH ha omesso di fornire misure concrete per alleviare il dolore
e la sofferenza delle vittime.
Gli attivisti e le attiviste di Amnesty
International non dimenticano e continueranno a ricordare a tutti che solo la
fine dell’impunità e il riconoscimento delle violazioni subite possono
assicurare una pace vera. Nei giorni del 10 e 11 luglio, in particolare tutto
il mondo di Amnesty, insieme a chi vorrà farlo insieme a noi ricorderà i morti
di Srebrenica con veglie, flashmob,
eventi in ricordo.
Paolo Pignocchi
Amnesty International Sezione Italiana
Vice-Presidente